Lima: 12-15 novembre. Incontro anarchico

L’anarchismo come prospettiva rivoluzionaria mantiene la sua valenza di fronte  all’attuale ordine delle cose, rinnovando i propri attacchi all’autoritarismo. L’esclusione sociale e le situazioni reali  (in quanto a politica e a maneggio del potere) delle distinte regioni latinoamericane implicano una costante riattualizzazione dell’anarchismo per poter affrontare lo stato e il capitale.
In quest’ottica collettivi ed individualità anarchiche dell’America latina e del resto si incontreranno a Lima da mercoledì 12 giovedi a sabato 15 novembre; l’intento è di potenziare i collettivi e le iniziative acratas con il confronto di proposte e l’interscambio di informazioni ed esperienze.
Le diverse congiunture economico-sociali all’interno del continente sudamericano fanno sì che l’anarchismo e le resistenze sociali si diano – di fronte al capitalismo e allo stato – varie strategie e tattiche, esprimendo diversificate forme di ribellione.
Quindi cosa c’è di meglio se non confrontarsi, affrontare e (possibilmente) risolvere tutti assieme le condizioni attuali di ciò che si conosce come guerra sociale?
Lima, geograficamente, è un punto strategico in America Latina e  il Perù rappresenta un anello di congiunzione della storia e delle culture di tutto il  continente. E’ venuto il momento di stabilire reti di coordinamento più organizzate e dinamiche: per questo diamo vita ad un incontro anarchico a carattere internazionale, che riesca ad ampliare tale rete e a rafforzare i legami tra anarchici sudamericani e del resto del mondo. Una specie di globalizzazione della resistenza, che promuova affinità e volontà comuni e che provi a giungere a conclusioni rilevanti.
Durante i quattro giorni le attività si terranno vicino Lima e termineranno nel centro della città con  concerti di vari gruppi e bande internazionali. Si suggerisce di portare sacchi a pelo, tende e l’attrezzatura necessaria.
In particolare il programma prevede riunioni e dibattiti per la difesa, il rafforzamento e l’estensione delle occupazioni di terre, case, quartieri e di tutte le esperienze di autorganizzazione sociale nel Perù; assemblee su anarchismo e femminismo, mezzi di comunicazione, violenza rivoluzionaria e violenza statale e sull’anarchismo di fronte alla lotta armata degli anni Ottanta; ancora, organizzazione di collettivi e gruppi di affinità, gruppi di lavoro sulla produzione biologica, conversazioni sulle problematiche dell’indigenismo e sui popoli nativi, così come sul nazionalismo. Vi sarà una fiera di materiale anarchico che dia espressione a esperienze sociali di lotte concrete e alle realtà di autoproduzione, cinema, musica e balli. I compagni della pubblicazione «Disobediencia» si occuperanno della organizzazione delle commissioni e dei lavori  pertinenti.
Per informazioni:
arteria_aktiva@yahoo.es

Questo evento è l’espressione di quella che, come ebbi a constatare in un viaggio successivo al default argentino attraverso alcuni paesi Sudamericani, si può definire a buona ragione primavera dell’anarchia, cioè il manifestarsi di un risorgere delle pratiche e tematiche di riscatto, aventi nelle idee libertarie e anarchiche un riferimento vitale e  pulsante.
L’idea anarchica di lotta e pensiero è ben presente nella storia del continente da quando i migranti europei la introdussero alla fine dell’Ottocento, producendo nelle città e nelle campagne forme di emancipazione che coinvolsero centinaia di migliaia di proletari dal Messico alla Patagonia. Importanti sindacati organizzarono lotte popolari, represse nel sangue ma in grado di contaminare le idee di riscatto sociale con contenuti anticapitalisti, libertari, egualitari e solidali: anarchici. La storia dell’anarchismo sudamericano risulta ricchissima di figure significative e di lotte costitutive.
Il gruppo che a Lima cura la pubblicazione  «Disobediencia» per promuovere l’incontro ha stretto contatti con organizzazioni e gruppi in Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Bolivia, Messico, Venezuela, Brasile, Equador, Colombia.
Segnale questo di una «volontà del fare», di un sentimento  generalizzato presente in tutto il continente che potremmo definire il piacere e la volontà di dare corpo alle idee anarchiche  nei comportamenti reali di lotta.
Interessante è il connubio  tra pratiche autogestionarie (presenti in molte realtà autoctone: nei diversi pueblos, nelle comunità campesinas, in interi quartieri urbani di diverse città) e forme di resistenza e di  organizzazione sociale a cui corrispondono livelli repressivi molto spesso mortali.
Il progetto  ha come finalità secondaria quella di dare corpo ad una Federazione Peruana Libertaria, intesa come strumento  di aggregazione e sviluppo.
Come compagni bolognesi promuoviamo una sottoscrizione come condivisione, solidarietà e stimolo alla lotta, sicuri di contribuire allo sviluppo di processi di emancipazione sociale.

tomado del semanal anarquista: Umanità Nova, 2008

link: http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2008/un34/art5504.html

Nerio Casoni

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El pensamiento de González Prada 1, 2 y 3

Apuntes del capítulo con el mismo título, de la obra Historia de las ideas en el Perú contemporáneo de Augusto Salazar Bondy (Francisco Moncloa Editores, Lima, 1965).

Introducción

Las universidades decayeron al final de la época colonial y algunos colegios tomaron sus lugares (san Carlos y Guadalupe). Esto significó que la universidad se mantuviera prácticamente al margen de los debates intelectaules e ideológicos. Sólo a finales del siglo XIX es que la universidad va a recuperar poco a poco su prímacía en el campo intelectual.

Por eso Salazar Bondy no se sorprende de que “muchas de las corrientes doctrinarias del ochocientos hayan de ser estudiadas en otros ambientes culturales, principalmente en el campo de la política, la crítica literaria y artística y el debate religioso”. El positivismo peruano, al iniciarse, tuvo, en estos campos no universitaria, una presencia importante. Manuel González Prada es quien representa inmejorablemente el positivismo no universitario, así como su irradiación en los debates sobre las ideas y en los movimientos ideólogicos.

SalzarBondy afirma, sobre González Prada, que:

“es una de las figuras más notables de la literatura peruana. Su obra poética ha marcado una etapa en la evolución de la lírica nacional y su prosa se cuenta entre las más puras y vigorosas de la lengua castellana. González Prada no sólo fue un hombre de letras en el sentido restringido de la expresión; fue también un rebelde, un combatiente social y un hombre de pensamiento. Su rebeldía, que es una actitud esencialmente moral, es fruto de una prolongada reflexión sobre la existencia peruana. Las motivaciones de este pensamiento crítico no son empero exclusivamente locales. El hombre y el mundo, el problema de la realidad y de la existencia, estuvieron siempre en el primer plano de su interés intelectaul” (Pág 10, el subrayado es mío).

Su concepción del mundo y de la vida corresponde a la corriente positivista decimonónica europea. Sus influencias (cualquier corrección o adición es bienvenida) son principalmente:

  • Herbert Spencer (1820-1903).
  • Charles Darwin (1809-1882).
  • Ernest Renan (1823-1892).
  • Jean-Marie Guyau (1854-1888).
  • Ernst Haeckel (1834-1919).
  • Pierr-Joseph Proudhon (1809-1865).
  • Mikhail Bakunin (1814-1876).
  • Élisée Reclus (1830-1905).

Según Salazar Bondy, las obras que son de mayor interés para el estudio del pensamiento filosófico de González Prada son:

  • Páginas libres (1894).
  • Horas de Lucha (1908).
  • Anarquía (1936).
  • Nuevas Páginas libres (1937).
  • Propaganda y ataque (1938).
  • Prosa menuda (1941).
  • El tonel de Diógenes (1945).

Sólo Páginas libres y Horas de lucha fueron publicadas mientras González Prada estaba vivo. Esto es importante para reslatar que la mayoría de artículos y ensayos fueron publicados (conocidos y estudiados) postumamente.
Todas las obras mencionadas, menos Nuevas páginas libres y Prosa menuda, están disponibles, en los recursos en línea, para ser estudiadas. Si alguien tiene algún link para las dos obras restantes, haganmelo saber para poder hacer la referencia correspondiente.

Voy a seguir la división en seis secciones que hace Salazar Bondy para ordenar y presentar su exposición del pensamiento de González Prada. Además, pondré los textos que cita para que la entrada de este blog tenga el respaldo textual y bibliográfico necesario.

1. Los límites del conocimiento humano.

González Prada asume el postulado postivista de que los esfuerzos humanos no deben trascender la naturaleza. No intentar rebasar el ámbito físico es lo que se sigue de su “fe inmanentista”.

“Acababemos ya el viaje milenario por regiones de idealismo sin consistencia y regresemos al seno de la realidad, recordando que fuera de la Naturaleza no hay más que simbolismos ilusorios, fantasías mitológicas, desvanecimientos metafísicos” (Páginas libres, Editorial P.T.C.M, Lima, 1945, tercera edición, Pág 26).

Al rechazar a la metafísica y a la teología, lo que adquiere es una fuerte esperanza en la ciencia positiva de la época. Pero esta ciencia moderna, no es para González Prada, una mera teoría desinteresada que solamente (y ambiciosamente) busca decirnos como es la realidad en sí misma, en sus relaciones y en sus causas últimas. Para él, la ciencia es “el instrumento del porvenir del hombre, el verdadero motor del perfeccionamiento ilimitado de los individuos y las naciones” (Salazar Bondy, Pág 11).

“Si la ignorancia de los gobernantes y la servidumbre de los gobernados fueron nuestros vencedores, acudamos a la Ciencia, ese redentor que nos enseña a suavizar la tiranía de la naturaleza, adoremos la Libertad, esa madre engendradora de hombres fuertes. No hablo, señores, de la ciencia momificada que va reduciéndose a polvo en nuestras universidades retrógradas: hablo de la Ciencia con ideas de radio gigantesco, de la Ciencia que trasciende a juventud y sabe a miel de panales griegos, de la Ciencia positiva que en sólo un siglo de aplicaciones industriales produjo más bienes a la Humanidad que milenio enteros de Teología y Metafísica” (Páginas libres, Pág 66. Los subrayados son míos).

La ciencia es vista pues, como el medio que mejorará la vida de la humanidad, además de darle conocimiento giruroso, exacto, verificable y austero. Con austero me refiero a la humildad cognoscitiva que proclamana el positivismo, ya que, para González Prada, el mandamiento es:

“no admitir más verdades que las sometidas a la observación y al experimento” (El tonel de Diógenes, Tezontle, México, 1944, Pág 179).

La ciencia positiva, en la que cree González Prada, es una ciencia que no pretende obtener, ni dar a conocer el absoluto. Sólo ofrece verdades fenoménicas que siempre son susceptibles de ser perfeccionadas y mejoradas (una ciencia perfectible, digna de la condición humana). La verdad que obtenemos se encuentra, de estaanera, circunscrita y enmarcada dentro de los límites que nos impone la experiencia.

“la Ciencia absoluta, la ciencia en sí, vale poco o nada, y los mismos sabios la miran como un cúmulo de verdades provisionales, no como un edificio inamovible y definitivo. Ellos no la juzgan infalible, ni destinada a revelarnos el origen y el fin de las cosas sino a estudiar y explicarnos el cómo de los fenómenos ocuridos a nuestro alcance” (Nuevas páginas libres, pág 53).

El carácter del saber humano se caracteriza pues, como un conocimiento relativo y provicional. Hay que tomar consciencia de estas limitaciones para no hacer una mera especulación que no pueda verificarse, ni erigirse como conocimiento científico. Al respecto afirma González Prada:

“Nosotros no tenemos sino verdades provisorias, puntos de mira individuales, sujetos a perenne rectificación; y no podemos exigir que los demás cerebros acepten lo mismo que nosotros aceptamos, así como no debemos pedir que todos los corazones amen lo mismo que nosotros amamos. Cada uno tiene derecho a su amor y a su verdad” (El tonel de Diógenes, pág 183).

El campo y ámbito de la experiencia observable y posible es muy grande para la ciencia positiva. Si nuestras observaciones solamente forman una miníma parte de la totalidad de la experiencia posible, entonces es completamente factible asumir que no se tiene un saber acabado. La imagen del mundo que tenemos es solamente una, entre las muchas posibles (no es la imagen del mundo).

No podemos asumir como terminado nada, lo que hay es verdades fenoménicas. Incluso los objetos de nuestra percepción, los que consideramos como más mundanos y evidentes, son siempre objeto de duda, sospecha y crítica. González Prada nos plantea lo errados que podríamos estra al representar los fenómenos, además de señalar la estrecha relación que hay entre nuestra experiencia fenoménica del mund, y nuestro grado de observación empírica del mundo:

“¡quién sabe si nos encontramos en el caso del espectador iluso que toma por escenario y actores las figuras del telón!” (Páginas libres, pág 288).

“Si adquiriéramos una maravillosa potencia visual, si divisaramos los objetos como los percibimos en el microscopio, nuestra psicología y nuestro concepto del mundo variarían radicalmente… De ahí que para los hombres no haya un concepto definitivo del universo ni existe una verdad eterna: las verdades de hoy pueden convertirse en errores, como se vuelven hoy errores muchas verdades de ayer” (Páginas libres, pág 85).

De todo lo anterior podemos ver, para concluir esta primera entrada, que su fe en la ciencia positiva como instrumento para curar los males de la humanidad, y como ámbito de verdades digans de confianza, no tiene aspiraciones que buscan lo absoluto y lo infinito. No se quiere la ciencia, entendida como mera teoría. No vale lo que se proclama como saber incondicionado, sino sólo ciencia positiva, cuyo ojetivo es “la modesta y urgente tarea de dominar la tierra” (Salazar Bondy, pág 14).

“lo único infalible la Ciencia; lo único inviolable la verdad” (El tonel de Diógenes, pág 71).

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2. La naturaleza y el hombre.Acerca de la naturaleza, González Prada manifiesta una convicción en determinismo mecánico, fruto de sus creencias en el positivismo. Este determinismo sostiene que todos los fenómenos naturales están entrelazados por conexiones causales inmutables. Todo pues, estaría vinculado. Esto incluye tanto a los seres inertes e inorgánicos, como a los seres animados y al propio hombre.

“Nosotros, siguiendo la hilación (hic) entre causa y efecto, podemos deducir lo que sucederá mañana en el orden humano, como si se tratara de un eclipse o de una marea… Como la sustancia es una, la ley es también una y rige tanto lo que ustedes llaman el orden moral como lo que nombran el mundo físico” (El tonel de Diógenes, pág 71. El subrayado es mío).

Podemos afirmar, en base a lo anterior, que “la legalidad de la naturaleza tiene pues vigencia también en la historia” (Salazar Bondy, pág 14). Para González Prada, la historia tiene leyes regulares. La historia de la humanidad está determinada. Todas las culturas humanas:

“obedecen a un determinismo tan inflexible como la germinación de una semilla o la cristalización de una sal; de modo que si los sociólogos hubieran llegado a enunciar leyes semejantes a las formuladas por los astrónomos, ya podríamos anunciar las revoluciones como indicamos la fecha de un eclipse o de un plenilunio” (Anarquía, Editorial P.T.C.M, Lima, 1948, pág 81).

Pero, a pesar de creer en un determinismo mecanicista, González Prada si considera que la historia tiene una variable más en juego: la voluntad. Siguiendo a Friedrich Engels, considera que la voluntad tiene un protagonismo fundamental en el proceso de transformación social. Sin embargo, no hay que olvidar que es solamente un factor causal más. Unidad legal, pero con cambio y proceso. El mecanicismo y el evolucionismo confluyen en esta posición determinista.

Al entrara en estas problemáticas, podemos empezar a ver las paradojas y los limites que el positivismo trae. Y es que, el supuesto mero “atenerse a lo que se nos da en la observación”, para sólo ocuparnos del “como” de los fenómenos, es abandonado para determinar la esencial de la naturaleza.

González Prada sale del ámbito fenoménico para hablar en términos metafísicos. Parece que hay, en su pensamiento, elementos entrelazados de metafísica materialista con tesis energetistas y vitalistas (Salazar Bondy, pág 15). Lo que postula González Prada como el fondo de lo real, es una esencia metafísica, una unidad donde se resuelven todas las diferencias y disparidades que los observadores tienen. Es un claro monismo ontológico.

“Nada expresan las diferencias escolásticas y sutiles de alma y cuerpo: no hay más que una sola sustancia; la misma en el mineral, en la planta, en el hombre, en los superhumanos” (El tonel de Diógenes, pág 63).

Sin embargo, Gonzalez Prada tiene un espíritu mucho más crítico que el del positivismo que profesa. Pregunta si es que teologizar no es la condición humana, así como considera que la negación categórica de la metafísica es hacer metafísica:

“Al salir de las demostraciones matemáticas o abandonar el experimento y la observación, se teologiza. Y ¿quién no suele teologizar? Los teólogos ya no hablan sólo latín sino inglés, francés o alemán. A veces Büchner y Haeckel dejan atrás a San Agustín y Santo Tomás de Aquino. Negar la existencia de Dios y la inmortalidad del alma equivale a sostener la redención o la eucaristía. Cuando el materialista decide categóricamente:’sin cerebro ni fósforo no hay pensamiento’, se denuncia menos filósofo y más teólogo que el poeta cuando murmura: ‘en la tierra y en el cielo hay más cosas que las soñadas por nuestra filosofía‘” (Nuevas páginas libres, pág 84. El subrayado es mío).

Para concluir esta segunda entrega, podemos sostener que el pensamiento de González Prada parece reconocer una esfera trascendental del saber (Salazar Bondy, pág 16). Sin embargo, esta esfera no es el ámbito de la religión o de la teología. Este nuevo campo está abierto para la razón. Solamente la razón puede abordar lo incognoscible con hipótesis racionales. Aquí, el pensamiento de González Prada “llega a una posición coincidente en mucho con la metafísica hipotética y experimental, hacia la que derivó la filosofía positiva europea en su intento de asumir racionalmente los problemas de la trascendencia” (Salazar Bondy, pág 17).

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3. La condición humana.

El naturalismo “desinteresado” lleva a González Prada a afirmar que el mundo es indiferente al hombre, y que este último es fruto del azar. La naturaleza no conoce y es extraña a lo humano, a sus valores, a su sensibilidad. La naturaleza es pues, ciega y el hombre “es un factor insignificante de este juego de fuerzas que lo desborda y arrastra” (Salazar Bondy, pág 17). Frente a la inmensidad de la naturaleza, el mundo humano, su historia, sus logros y victorias no significan nada enmarcados dentro de lo que conocemos como la historia de la naturaleza:

“…todo el bullicio y toda la agitación de la Humanidad en sus innumerables siglos de existencia, no valen más que el murmullo de una espuma desvanecida en la playa o el aleteo de una mariposa abrasada por el fuego de una lámpara” (El tonel de Diógenes, pág 70).

Este poder conocer lo pequeños que somos es, según Gonzalez Prada, lo verdaderamente grande y positivo del ser humano y su condición.

“No podemos negar que la inteligencia del hombre posee una grandeza: medir la magnitud de su pequeñez” (El tonel de Diógenes, pág 225).

Sin embargo, como González Prada rechaza la religión y la teología, sus concepciones lo llevan a sostener una suerte de “patetismo pesimista” (Salazar Bondy, pág 17).

“Dondequiera que nos trasportamos con la imaginación, donde concibamos la más rudimentaria o la más compleja manifestación del ser, allí están la amargura y la muerte. Quien dijo existencia dijo dolor; y la obra más digna de un Dios consistiría en reducir el Universo a la nada” (Páginas libres, pág 291. El subrayado es mío).

“Al hombre, a este puñado de polvo que la casualidad reúne y la casualidad dispersa, no le quedan más que dos verdades: la pesadilla amarga de la existencia y el hecho brutal de la muerte” (Páginas libres, pág 50).

Pero este pesimismo es solamente un momento de la reflexión que realiza González Prada. El otro momento es el de protesta (Salazar Bondy, pág 19). Lo primero era tomar consciencia del sufrimiento inherente a la condición humana, así como padecer y sentir el dolor del mundo. Lo segundo es enjuiciar al mundo. Se persigue rebelarse del sufrimiento. Rechazar el sufrimiento “es la originalidad, el timbre de honor del hombre, el fundamento de su dignidad”(Salazar Bondy, pág 19).

“Desde las colonias de infusorios hasta las sociedades humanas se ve luchas sin cuartel y abominables victorias de los fuertes, con una sola diferencia: toda la Naturaleza sufre la dura ley y calla, el hombre la rechaza y se subleva. Si, el hombre es el único ser que lanza un clamor de justicia en el universal y eterno sacrificio de los débiles” (Horas de lucha, pág 46).

Para Salzar Bondy, los planteamientos éticos de González Prada tienen como ejes centrales “el ideal casi nietzscheano del esfuerzo vivificante y la vida intensa, el criterio naturalista de la acción adaptada y eficaz y el postulado humanista de la solidaridad. la plenitud física, la salud, la lozanía son reconocidos como valores morales” (Salazar Bondy, pág 19).

“Hay más verdadera moral en la higiene que en el catecismo” (El tonel de Diógenes, pág 200).

El amor libre entre los jóvenes, el hedonismo y el culto a la belleza son ingredientes fundamentales dentro la acción ética. El imperativo o “ideal de la existencia joven que hay que perseguir es el goce sano y fecundo, máxima afirmación de ser adaptado a su habitáculo” (Salazar Bondy, pág 20). Pero, a pesar de tener en cuenta lo anterior, González Prada señala como lo propiamente grande del hombre el esforzarse por buscar realizar lo eterno sin recompensa.

Además de eso, la piedad tiene un rol fundamental, ya que se ha sostenido la toma de consciencia del sufrimiento y del dolor. Tanto es así, que es este sentimiento y esta inclinación a querer padecer con el otro lo verdaderamente fundamental, esencial y valioso del actuar humano. El saber y la grandeza desligada del sentimiento de actuar para con el que sufre, no vale, ni sirve, ni es importante:

“…si algunos hombres han introducido en su cerebro unas cuantas vislumbres de ciencia medio teológica y medio positiva, casi ninguno ha logrado humanizar su corazón al punto de hacerle sentir su propia carne en toda carne que se desgarra y palidece. Muchos olvidan que el insensible al dolor y a la muerte de su prójimo debe llamarse bárbaro, aunque atesore la filosofía de un Platón y la ciencia de un Aristóteles. Veinticuatro siglos hace que en la Grecia pagana un filósofo escribió: la vida perfecta es la bondad; hoy a los diecinueve siglos de la Religión Cristiana, hay que decir a los blasonadores de Catolicismo: nada tan absurdo y estéril como la crueldad, sólo dura lo fundado en la justicia y la misericordia. Mentira la civilización sin entrañas, embuste la sabiduría sin el sentimiento… San Vicente Paúl cobijando a un niño vale más que Napoleón ganando la batalla de Austerlitz” (Horas de lucha, pág 226).

Pero estos sentimientos deben concebirse como una conclusión de los postulados naturalistas. Básicamente “el respeto a la vida ajena y el ahorro del dolor, no sólo humano sino animal, puede derivarse del amor egoísta al propio yo y de la repugnancia natural a padecer y morir” (Salazar Bondy, pág 21). La lucha por la existencia tiene como límite la vida y el sufrimiento de los demás. La ley natural se rectifica por una acción solidaria con la humanidad.

“El sumun de la moralidad, tanto para los individuos como para las sociedades, consiste en haber transformado la lucha del hombre contra el hombre en el acuerdo mutuo para la vida” (Horas de lucha, pág 331).

Tenemos pues, que la humanidad surge de la naturaleza. Sin embargo, el ser humano es el ente superior porque se rebela contra la imposición de la naturaleza. Por eso su destino es una tarea que los hombres deben hacerse. ese es el otro rasgo esencial humano, el de progresar:

“Viendo de qué lugar salimos y dónde nos encontramos, comparando lo que fuimos y lo que somos, puede calcularse adónde llegaremos mañana” (Páginas libres, pág 292).

El hombres es el que hace su historia, no tiene aspiraciones ni creencias en la trascendencia. Su meta es la realización plena de la ciudad del hombre.

“¡Felices los que vengan mañana porque vivirán no en la Jerusalem divina sino en la ciudad laica, sin templos ni sacerdotes, sin más divinidades que el Amor, la Justicia y la Verdad!” (Horas de lucha, pág 105).

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Entrevista sobre: MANUEL GONZÁLEZ PRADA Y EL RADICALISMO PERUANO

Entrevista a Hugo Pereyra Plasencia, autor del libro MANUEL GONZÁLEZ PRADA Y EL RADICALISMO PERUANO, por el periodista argentino Juan Cruz Castiñeiras

Buenos Aires, 15 de octubre de 2009

¿Qué es el radicalismo peruano?

Por lo que he podido estudiar, el radicalismo nació en el siglo XIX como un movimiento político, como una doctrina política, como un tipo específico, contestatario, del liberalismo. El movimiento y la doctrina fueron universales en su tiempo. Buscaban reformar profundamente la vida política e introducir la “cuestión social”. Hubo, por ejemplo, un radicalismo francés, un radicalismo argentino, un radicalismo chileno y también un radicalismo peruano. Solo que la diferencia entre el radicalismo peruano y el argentino (por comparar dos versiones de este pensamiento) es, en este caso, la perdurabilidad: el radicalismo argentino dura hasta ahora, hay una herencia radical argentina. En el Perú, el radicalismo fue muy breve. A fines del siglo XIX estaba prácticamente extinguido en lo que se refiere a su peso político, a su actividad partidaria. Pero no se puede decir lo mismo sobre las ideas que difundió, que estaban centradas en torno a la introducción de las cuestiones sociales. En el caso del Perú, hablamos, por ejemplo, de la incorporación del campesino indígena a la vida social y política, a la lucha contra la corrupción, y a la búsqueda de una mayor solidez y representatividad en las instituciones. En pocas palabras, el radicalismo universal tuvo ideas generales que fueron adaptadas a la realidad peruana. Aunque desconozco si fue una idea dominante en los movimientos radicales chileno y argentino, otro rasgo importante del radicalismo peruano fue su atracción por la ciencia. Me refiero a la ciencia tradicional, a la física, la química, etc., y también a la ciencia aplicada. Para los radicales peruanos, el culto de la ciencia era una de las maneras de romper con la educación tradicional basada en conocimientos científicos atrasados. La ciencia era vista como una herramienta para proyectar al país hacia la modernidad…


¿Había influencia positivista en ese pensamiento?

Justamente, la conexión entre el radicalismo y el positivismo en el Perú se da por la vía de la ciencia. Pero también hay una diferencia: el positivismo en el Perú fue un movimiento conservador, no hablaba de temas como la lucha contra la corrupción o la incorporación del indio. Los que defendieron estos temas fueron los radicales. No obstante, repito, radicales y positivistas tuvieron en común la admiración y atracción por la ciencia.

¿Qué es el Segundo Militarismo en contraposición a un Primer Militarismo?

El Primer Militarismo fue el militarismo de la primera mitad del siglo XIX en el Perú. Fue un período, como sugiere el nombre, de dominación de caudillos militares, seguido después por la influencia civil del tiempo de Manuel Pardo. El Segundo Militarismo se inició hacia el final de la Guerra con Chile. El general Miguel Iglesias tomó el poder en el año 1883, todavía estando los alrededores de Lima ocupados por los chilenos, y continuó hasta 1885. En 1886, luego de su triunfo en la guerra civil contra Iglesias, el general Andrés A. Cáceres, héroe de la Campaña en la Sierra contra los chilenos, subió al poder. Gobernó en dos períodos. Primero, hasta el año 1890 y después, muy brevemente, entre los años 1894 y 1895. En todo caso, el Segundo Militarismo fue, esencialmente, un período dominado por la figura de Cáceres, ya sea como Presidente de la República o como el político que actuó entre bambalinas apoyando a sus partidarios.

¿Qué papel juega Manuel González Prada en el radicalismo peruano en el marco del Segundo Militarismo?

El papel de González Prada fue muy especial. De no haberse producido la Guerra con Chile —que fue un episodio muy traumático para el Perú— González Prada hubiera sido un poeta y un empresario muy exitoso y muy adinerado, dedicado a la preparación industrial de almidones producto del tratamiento de las yucas de sus haciendas. González Prada era un hacendado descendiente de españoles, era muy acaudalado y tenía una vida muy organizada. Pero la guerra, como les pasó a tantos, removió su vida. González Prada se empeñó en encontrar cuáles habían sido las causas de la derrota. En ese proceso, este literato que era González Prada se acercó a la política, se acercó a la discusión pública sobre las secuelas de la guerra y, concretamente, se erigió como un campeón en la lucha contra un contrato que iba a ser suscrito entre el gobierno peruano y los tenedores de bonos británicos para tratar el asunto de la deuda peruana, que era previa a la Guerra del Pacífico. Él tenía una posición muy nacionalista, muy de defensa de los recursos naturales y de los intereses del Perú. Por cierto, fue una posición un poco apasionada. Yo explico esta idea en mi libro. No obstante, lo que quiero destacar aquí es que este episodio de oposición al Contrato Grace —que así se llamaba ese contrato entre los tenedores de bonos británicos y el gobierno peruano— es el que da nacimiento al político, tanto en su caso como en el del Círculo Literario que él dirigía. En pocas palabras, González Prada y su grupo pasaron de la literatura a la política presionados por las circunstancias del momento. Ellos sentían que era una etapa de reconstrucción y de refundación de la República, y que era su deber participar activamente en este proceso.

Cuando se habla de González Prada se lo asocia a la figura de Víctor Raúl Haya de la Torre, ya que este líder político aludía mucho a la obra de González Prada. ¿Qué influencia tuvo él en el pensamiento de Víctor Raúl?

Mucha. González Prada tuvo su actividad en el Perú en la segunda mitad del siglo XIX y de comienzos del siglo XX. Él comenzó encabezando la corriente radical. Posteriormente, en el siglo XX, se torna anarquista, aunque sin dejar su estilo radical cuando quiere referirse a la política peruana concreta. En ambos casos, tanto en la vertiente radical como en la vertiente anarquista, no hablamos de doctrinas marxistas. No hay referencias a Marx en los textos más conocidos de González Prada. En el caso del radicalismo fue básicamente, como hemos visto, un movimiento de crítica social aplicado al Perú. Por decirlo de alguna forma, el pensamiento de González Prada fue una visión transformadora y democrática no marxista. Muy joven, Haya de la Torre conoció a González Prada. Haya era entonces un estudiante universitario que había llegado a Lima. Era provinciano, de Trujillo. Haya cuenta en uno de sus textos que él conoció a este venerable patriarca que era González Prada cuando tenía el cargo de Director de la Biblioteca Nacional. Trabó contacto con él y le expresó su admiración. Pero, al poco tiempo, González Prada murió. Por eso, en esa etapa, la influencia de González Prada sobre Haya no fue muy grande. Fue más bien una relación de admiración de este joven trujillano, provinciano, frente a este gran intelectual peruano. Posteriormente, el APRA abrevó del pensamiento de González Prada. Dado que, como dije, este pensamiento era una visión transformadora y democrática no marxista, no resulta extraño que el aprismo auroral haya abrevado de dicha fuente. Cabe recordar que el APRA se desvinculó desde el comienzo del stalinismo. González Prada se había erigido como un modelo de pensador progresista no marxista, no clasista (en el sentido de “dictadura del proletariado” que se da a esta expresión el pensamiento de Marx). Esta visión sin duda sirvió a los apristas como una guía en la idea de integrar al Perú, de unir a los “trabajadores manuales e intelectuales” (como venía ocurriendo desde el tiempo previo de las llamadas Universidades Populares), de acabar con el molde elitista de la política y de incorporar a los sectores olvidados. Estas fueron las banderas que alzó el APRA, inspiradas en el pensamiento de González Prada. Por lo que he leído, en los documentos fundacionales del APRA, en la década de 1930, González Prada fue tomado como una referencia. Y algo más: la viuda de González Prada, doña Adriana de Verneuil, publicó un libro de memorias ya en los años 40 donde explícitamente ella dice, según su punto de vista, que el APRA de ese momento era la encarnación del pensamiento de su esposo. Aún más, antes de fallecer en los Estados Unidos, donde radicaba al final de su vida, la viuda de González Prada declaró como heredero de sus bienes a Haya de la Torre, quien en ese momento estaba superando una época terrible de persecución, recluido en la Embajada de Colombia en el Perú. El gesto de esta dama habla elocuentemente de la vinculación espiritual y política que hubo entre su esposo y Haya.

¿Qué significó el enfrentamiento intelectual entre el costumbrista y tradicionalista Ricardo Palma y el revolucionario Manuel González Prada?.

González Prada pasó de ser un poeta de lujo a ser un crítico social radical, a pesar de descender de la más rancia estirpe española. (Es paradójico, pero González Prada descendía de españoles que lucharon por el Rey en tiempo de las luchas de la Independencia.) González Prada se volvió político y esgrimió una bandera literaria anti española. El decía que no debíamos concentrarnos en España, que había que ver hacia Inglaterra, Alemania, Francia; sobre todo Francia se vuelve su ideal. Tengo entendido que fue un proceso que se dio en otros países de América, en México y la Argentina. Me refiero a la tendencia de dejar de mirar la literatura española y empezar a apreciar la literatura de otros países. González Prada hablaba perfectamente el francés. González Prada ve el pasado español como un lastre, sobre todo en lo que se refiere a la religión. Él es anti clerical, critica a la Iglesia Católica, se declara ateo, aunque es bueno aclarar que éste fue sólo uno de los muchos aspectos de su pensamiento. Todo ello, digamos, es una especie de expresión de su anti españolismo. Asocia anti españolismo con luchar por la modernidad, por la ciencia, por la apertura social, en fin, establece una dicotomía, que no deja de ser extremista y discutible (como tantos planteamientos discutibles tuvo este pensador, al lado de sus notabilísimos aportes). El caso de Palma es diferente. Palma provenía de la clase media. Incluso se podría decir que venía de sectores populares. Él toma al Virreinato como tema de sus llamadas Tradiciones Peruanas, que son una evocación graciosa, una evocación muy simpática de ese tiempo. Sobre esto hay dos teorías. La más común señala que él era un adorador del Virreinato. Pero, en realidad, una lectura detallada de Palma indica que más bien se burlaba del Virreinato, se burlaba graciosa y elegantemente, pero se burlaba de ese cierto oscurantismo que a veces está asociado al tiempo de la dominación española. Me refiero, por ejemplo, al tema de los fantasmas, que son frecuentes en sus tradiciones, y al de las luchas por el honor. Recuerdo la tradición referida a dos nobles que vivían en Lima que mantuvieron un largo pleito porque sus calesas se habían quedado obstruidas en una calle estrecha de la ciudad y ninguno de los dos quería ceder el paso al otro. Algunos señalan que en esta especie de cariño que tenía Palma por el Virreinato trasluce también un sentido de burla discreta.

¿Cuánto tardó en hacer el libro y en que fuentes periodísticas se basó?

El libro lo investigué en la Biblioteca Nacional del Perú durante más o menos un año (entre 2003 y 2004), y lo escribí en medio año. Lo que yo he buscado es no estudiar a González Prada únicamente en base a los libros que él publicó. Él y su hijo editaron, en efecto, compilaciones de textos, la mayor parte de ellos retocados. Me refiero, en el caso de González Prada, a “Páginas Libres” y a “Horas de Lucha”. Si bien estas recopilaciones son importantes, yo preferí ir a la prensa de la época para ver a González Prada en el contexto del momento, de las noticias del momento, de los problemas del momento. Las fuentes periodísticas me permitieron ubicar con mayor precisión a González Prada. Hicieron posible, por ejemplo, explicarme por qué González Prada fue en un comienzo radical y no anarquista. Por ejemplo, en el año 1888, cuando fue pronunciado el discurso en el teatro Politeama —que condenaba a la generación anterior por la derrota en la guerra internacional— González Prada era un radical y no un anarquista. Era una época en la que ya había anarquistas más o menos organizados en otros países latinoamericanos. Esta temprana adscripción al radicalismo se comprende viendo las fuentes de la época. Porque si uno ve lo que pasaba en el Perú en el año 1888, estamos hablando de un país que salía de una guerra terrible y que sufría la situación de dos provincias cautivas, Tacna y Arica, que habían quedado en manos de Chile. Nos estamos refiriendo, en este caso, a las poblaciones peruanas cautivas en esos territorios, que clamaban por su liberación y por su reintegración a la patria peruana. Se comprende que, entonces, todo el Perú giraba en torno a la angustia de las poblaciones peruanas que habían quedado atrapadas en ese territorio ocupado por Chile. Es imposible que un anarquista hubiese surgido en ese ambiente, que era patriótico y nacionalista. Se aprecia con claridad que el radicalismo era una opción mucho más lógica para ese momento, porque se articulaba con esta atmósfera patriótica que dominaba al Perú de la post Guerra del Pacífico.

¿Cómo se debe recordar a Manuel González Prada?

Manuel González Prada fue un precursor del Perú moderno, pero no hay que idealizarlo. Definitivamente, hay una tendencia en América Latina a mostrar estatuas de bronce, a seres perfectos, y no a personajes de carne y hueso. Yo demuestro en mi libro que González Prada estuvo esencialmente equivocado al exagerar sus ataques contra el Contrato Grace. En realidad, como hoy dicen muchos historiadores, ese contrato con los tenedores de bonos británicos no fue tan malo como se lo pintó en el pasado. Fue, en todo caso, lo menos malo que se pudo conseguir en ese ambiente tan terrible y de tanta estrechez después de la guerra. En efecto, quizás González Para fue un poco exagerado en algunas cosas, pero lo que nadie discute es su notable papel como introductor de temas sociales. Fue el primer gran político peruano que habló de la perentoria necesidad de incorporar a los campesinos indígenas peruanos a la vida política del Perú en un tiempo en que había una pavorosa distancia espiritual entre la costa y la sierra. Que habló también de incorporar al Perú a la modernidad, es decir, a la gigantesca corriente de desarrollo que se generaba en esa época, a fines del siglo XIX, caracterizada por una notable aceleración tecnológica. González Prada fue un político que habló de modernizar al Perú y de integrarlo positivamente en su entorno mundial. Creo que aparte de su lucha contra la corrupción y de su honestidad personal — que nadie discute— yo creo que fue el primer gran político moderno del Perú, el primero que habló del Perú como un todo y no a través de los intereses de clubes de oligarcas, o de partidismos sesgados.

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Las esclavas de la Iglesia (Manuel Gonzalez Prada)

LAS ESCLAVAS DE LA IGLESIA

(Conferencia dada el 25 de setiembre de 1904 en laLoggia Stella d’Italia).

Señores:

Agradezco a los miembros de la Loggia Stella d’ltalia el honor que se dignaron concederme al solicitar mi colaboración en esta ceremonia, para conmemorar el asalto de Roma y el derrumbamiento del solio pontificio. Sin pertenecer a la Masonería, creo sentirme animado por el espíritu que inflamó a los antiguos masones en sus luchas seculares con el altar y el trono; sin haber nacido en la clásica tierra de Machiavelli y Dante, me considero compatriota de los buenos italianos reunidos aquí para celebrar un triunfo de la Razón y la Libertad. Sobre la mezquina patria de montes y ríos, existe la gran patria de los afectos y de las ideas: los nacidos bajo la misma bandera que nosotros son nuestros conciudadanos; más nuestros compatriotas, nuestros amigos, nuestros hermanos, son los que piensan como nosotros pensamos, los que aman y aborrecen cuanto nosotros amamos y aborrecemos. No consideraré el 20 de setiembre en sus relaciones con la política europea, con la unificación de Italia ni con la Masonería; aprovechando la libertad que se me ha concedido en el uso de la palabra, disertaré sobre el “Catolicismo y la mujer”, para manifestar que la esclavitud femenina perdura en el Romanismo, que las mujeres continúan siendo “esclavas de la Iglesia”.I

Abundan individuos que profesan una teoría muy original, muy cómoda y muy sencilla, que se resume en dos líneas: “si los hombres pueden y hasta deben emanciparse de toda creencia tradicional, las mujeres necesitan una religión”. Y como en las naciones católicas religión se traduce por Catolicismo, la teoría quiere decir: para una mitad de la especie humana la luz del meridiano, las bebidas químicamente puras y los exquisitos manjares de Lúculo; para la otra mitad, las tinieblas de medianoche, las aguas insalubres del pantano y la indigesta bazofia del convento. Riámonos de la teoría, declarando al mismo tiempo que nada hay tan abominable ni tan indigno de un hombre honrado como figurarse en posesión de la verdad y reservarla para sí, manteniendo a los demás en el error.

Sin admitir que las mujeres necesiten una religión, preguntaremos: ¿el Catolicismo representa la religión más elevada? Vale tanto para ensalzarle como la única salvación del alma femenina? Cierto, Balzac afirmó que una mujer “no era pura ni candorosa sin haber atravesado el Catolicismo”. Afirmación injuriosa para el mayor número de ellas, desmentida por los hechos y refutada por otros cerebros tan poderosos como el de Balzac. )Ignoramos la elevación moral de las protestantes? ¿No sabemos que en Estados Unidos y las naciones reformadas de Europa las mujeres brillan por su ilustración y carácter? ¿No vemos que la ascensión del alma femenina coincide con el descenso del Catolicismo? Aunque no pertenezcamos a ninguna secta religiosa, tengamos la buena fe de reconocer que el Protestantismo eleva a los individuos y engrandece a las naciones, porque evoluciona con el espíritu moderno, sin ponerse en contradicción abierta con las verdades científicas. El Catolicismo, al decretar la fe pasiva, nos mantiene emparedados en el Dogma, como al cadáver en un ataúd de plomo; la más intransigente y absurda de las comuniones protestantes, al declarar el libre examen, deja una ventana siempre abierta para evadirse al racionalismo. Si la ortodoxia católica merece llamarse una religión de estancamiento y ruina, díganlo España, Irlanda, Polonia y algunos estados de Sudamérica. Mas no comparemos naciones con naciones, sino familias con familias. Mientras en el hogar de los pueblos reformados la esposa y los hijos disfrutan “el amplio derecho de interpretar la ley divina” y constituyen verdaderas individualidades, ¿qué sucede en el hogar bendito por la Iglesia? ahí el padre delega en un extraño la dirección moral de la familia, resignándose a vivir eternamente deprimido bajo un tutelaje clerical; ahí la madre, cogida poco a poco en el engranaje del fanatismo, concluye por entorpecerse y anularse con las rancias y grotescas ceremonias del culto; ahí los hijos, obligados a profesar una creencia que instintivamente rechazan, se ven compelidos a elegir entre la hipocresía silenciosa y la incesante lucha doméstica; ahí las hijas, antes de abrir su corazón a la ternura de un hombre, quedan moralmente desfloradas en las indecorosas manipulaciones del confesionario. En el matrimonio de los buenos creyentes, a más de la unión corporal del hombre con la mujer, existe la comunión espiritual de la mujer con el sacerdote. Si en las naciones protestantes el “clergma”n se contenta con sólo llamarse el amigo de la familia, en los pueblos católicos, señaladamente en los de origen español, el sacerdote se juzga con derecho a titularse el amo de la casa: donde mira una mujer, ahí cree mirar una sierva, una esclava, un objeto de su exclusiva pertenencia. El se interpone entre el marido y la mujer para decir al hombre: “si el cuerpo de la hembra te pertenece, el alma de la católica pertenece a Dios, y por consiguiente a mí que soy el representante de la Divinidad”. Basándose en razones tan sólidas, el ministro del Señor toma el alma de la mujer… cuando no se apodera también del cuerpo. Sin embargo, esto lo glorifican muchísimos liberales y librepensadores al sostener que “las mujeres necesitan una religión”, imitando así el ejemplo del boticario que elabora una panacea, la vende como infalible, pero se guarda muy bien de administrársela a sí mismo. II Se repite a manera de axioma que la Religión Cristiana emancipó a la mujer. Como lo asegura Louis Ménard, “la emancipación tuvo efecto mucho antes de que apareciera el Cristianismo. Al sustituir el matrimonio a la poligamia, el Helenismo había elevado a la mujer hasta el rango de madre de familia -ama de casa, según la expresión de Homero. Diosas reinaban en el Olimpo, al lado de los Dioses; mujeres, las Peleadas y las Pitias, anunciaban oráculos divinos en Dodona y Delfos. Mas el Dios del Cristianismo encarna en figura de hombre, y el femenino no halla cabida en la Trinidad”. La emancipación de la mujer, como la libertad del esclavo, no se debe al Cristianismo, sino a la Filosofía. En pleno siglo XIX, la esclavitud reinaba en pueblos cristianos como Sudamérica, Estados Unidos y Rusia, cuando había desaparecido ya de naciones que ignoraban el nombre de jesucristo. )Puede hoy llamarse emancipada la mujer de los estados oficialmente católicos? En ellos sufre una esclavitud canónica y civil. Al estatuir la indisolubilidad del matrimonio, al condenar las más legítimas de las causas que justifican la nulidad del vínculo, al no admitir esa nulidad sino en casos muy reducidos y bajo condiciones onerosas, tardías y hasta insuperables, la Iglesia Católica fomenta y sanciona la esclavitud femenina. Arrebata a la mujer una de sus pocas armas para sacudir la tiranía del hombre, aprisionándola eternamente dentro de un hogar donde se halla en la obligación de rendir amor, respeto y obediencia al indigno compañero que sólo merece odio, desprecio y rebeldía. A la constitución de una nueva familia dulcificada por la buena fe, la ternura y la fidelidad, los católicos prefieren la conservación de un hogar envenenado por la hipocresía, el desamor y el adulterio. Veamos el Perú, nación tan católica en sus leyes y costumbres que merecería llamarse la sucursal de Roma y el futuro convento de Sudamérica. Aquí poseemos códigos donde se restringe la capacidad jurídica de las mujeres, sin disminuir la responsabilidad en la consumación de los delitos, no juzgándolas suficientes para beneficiar de la ley civil, pero declarándolas merecedoras de las mismas penas establecidas para los hombres. Al ocuparse del matrimonio, nuestro “Código Civil” es un Derecho Canónico, sancionado por el Congreso. Citaremos algunos artículos inspirados por la más sana ortodoxia.”El matrimonio legalmente contraído es indisoluble: acábase sólo por la muerte de alguno de los cónyuges. Todo lo que se pacte en contrario es nulo, y se tiene por no puesto. (134)La impotencia, locura o incapacidad mental que sobrevenga a uno de los
cónyuges, no disuelve el matrimonio contraído. (168)La mujer está obligada a habitar con el marido y a seguirle por donde él tenga por conveniente residir. (176)El marido tiene facultad de pedir el depósito de la mujer que ha abandonado la casa común, y el juez debe señalar el lugar del depósito. (204″)En cambio:”La mujer no puede presentarse en juicio sin autorización del marido. (179)”Pero nada debería sorprendernos desde que un artículo de ese mismo Código, al hablar de la patria potestad, iguala a la mujer casada con “los menores, los esclavos y los incapaces. (28)” No se requiere mucho análisis para cerciorarse de que en todas esas leyes superviven rezagos de épocas bárbaras, en que la hembra figuraba como una propiedad del macho.Aunque la Iglesia venere a María y la glorifique hasta el grado de tender a ingerirla en la Trinidad para constituir un misterio de cuatro personas, no cabe negar el desprecio del Catolicismo a la mujer. Para muchos hombres de fe y experiencia, el alma femenina se resume en dos tipos: “Eva o la perdición del género humano, Dalila o el corazón enfermo y doce veces impuro”. Dudando que los miembros de un concilio negaran a las mujeres un alma, debemos recordar que algunos santos padres no les conceden honestidad, hidalguía ni sentido común. Parecen invenciones las invectivas que los sacerdotes han fulminado contra las mujeres. A tan furibundos misóginos se les tomaría unas veces por locos, otras por desgraciados que no tuvieron madre o la tuvieron muy mala. Recordemos a San jerónimo, que no vivió ni murió como Luis Gonzaga, y a San Agustín, que empezó de mujeriego y acabó de obispo. Varones canonizados y tenidos por golfos de sabiduría, llaman a la mujer “camino de todas las iniquidades, puerta del infierno, flecha de Satanás, hija del Demonio, ponzoña del basilisco, burra mañosa, escorpión siempre listo a picar, etc”. El menosprecio a la mujer y la creencia en la superioridad del hombre, han echado tantas raíces en el ánimo de las gentes amamantadas por la Iglesia que muchos católicos miran en su esposa, no un igual sino la primera en la servidumbre, a no ser una máquina de placeres, un utensilio doméstico. Semejante creencia en la misión social de un sexo denuncia el envilecimiento del otro. La elevación moral de un hombre se mide por el concepto que se forma de la mujer: para el ignorante y brutal no pasa de ser una hembra, para el culto y pensador es un cerebro y un corazón. Si el valor moral de los individuos se calcula de ese modo, el adelanto de las naciones se estima por la humanidad en las costumbres y la equidad en las leyes; donde el egoísmo se atempera más con la abnegación, donde los desposeídos reivindican más derechos, ahí florece una civilización más avanzada. No se conoce bien a un pueblo sin haber estudiado la condición social y jurídica de la mujer; se necesita ver las consideraciones que goza en las costumbres, los derechos de que disfruta en las leyes. En las naciones protestantes se realiza tan seguramente la ascensión femenina que ya se prevé la completa emancipación. Sancionada la igualdad de ambos sexos, se concibe que algún día la mujer adquiera el dominio absoluto de su persona y divida con el hombre la dirección política del mundo. Todo se concibe, menos que la Iglesia eleve a la mujer hasta el nivel del hombre, otorgándola el derecho de familiarizarse con la Divinidad. Al excluirla del sacerdocio, la considera indigna de la más elevada función moral: la embustera boca de la “hembra” no debe enunciar desde el púlpito la doctrina revelada por un Dios de verdad; las impuras manos de la “hembra” no merecen consumar el sacrificio donde se ofrece al Padre celestial la víctima del cordero inmaculado. ¿Qué reserva el Catolicismo a la mujer? murmurar las oraciones y seguir el rito, sin aproximarse al ara ni rozar siquiera con sus vestidos las gradas del tabernáculo; arrodillarse en el confesionario, revelar sus culpas, arrepentirse y demandar humildemente la absolución del sacerdote. La “hembra” no interpreta el libro ni discute el Dogma: obedece y calla (Ménard).Así, la mujer que ofrece amor a jesús, en tanto que los hombres le prodigan odio; la mujer que para escuchar los salvadores preceptos le sigue por arenales y rocas; la mujer que valerosamente le confiesa, cuando un apóstol le vende y otro le repudia; la mujer que en la vía dolorosa le enjuga el sudor y la sangre, al mismo tiempo que sayones le escupen y le abofetean; la mujer que en el suplicio le acompaña y le consuela, mientras los discípulos le abandonan y hasta el mismo Padre le desampara, no recibe del sacerdote más recompensa que el insulto, los anatemas, la servidumbre doméstica y la degradación moral. Hoy mismo, hoy que la fe se aleja de los cerebros fuertes para refugiarse en los espíritus débiles, )quién retarda la inevitable ruina del Catolicismo? )Quién brega para construir un dique y detener la incontenible inundación del escepticismo religioso? )Quién renuncia con más desprendimiento a glorias del mundo y placeres del amor, consagrándose al esposo místico que no tiene labios para besar sino espina para herir el corazón? )Quién ofrendaría toda su alma, toda su sangre y toda su vida porque la sombra de la Cruz se extendiera de polo a polo, y la figura del sacerdote dominara sobre las más altas y más poderosas cabezas de la Tierra? “el escorpión, el basilisco, la hija del demonio, la burra mañosa”. III Nadie tanto como la mujer debería rechazar una religión que la deprime hasta mantenerla en perdurable infancia o tutela indefinida. Mas no sucede así: la “irredenta  se yergue contra sus redentores, la víctima bendice el arma y combate a favor del victimario. Ella no transige con el librepensador o libertario y rechaza como enemigo al reformador que viene a salvarla del oprobio y la desgracia, proclamando la anulación del vínculo matrimonial no sólo por mutuo disenso, sino por voluntad de un solo cónyuge, Ella se pone al lado del sacerdote que anatematiza las uniones libres, y santifica la prostitución legal del matrimonio.Es, señores, que lo más triste de las iniquidades y los abusos está en la obcecación y rebajamiento moral de las víctimas: pierden hasta la conciencia de su lamentable condición, no abrigan ni el deseo de sacudir el yugo ignominioso. Los esclavos y los siervos deben su
dignidad de personas al esfuerzo de los espíritus generosos y abnegados; la mujer católica se emancipará solamente por la acción enérgica del hombre. Desgraciadamente, los esfuerzos tentados para descatolizarla y divorciarla del sacerdote no produjeron muy fecundos resultados. )Por qué? por deficiencia de los mismos que intentaron la descatolización y el divorcio. Algunos pretenden redimir a la Humanidad sin haber logrado catequizar a su familia, olvidando que antes de pronunciar discursos y de escribir libros, se necesita hablar la más elocuente de las lenguas, el ejemplo. )Qué se avanza con libros demoledores y discursos fulminantes, si mientras los esposos desvanecen mitos y derriban iglesias, las esposas inoculan en sus hijos el virus de la Religión Católica? La madre arrasa con el sentimiento lo que el padre intenta edificar con la Razón. Las creencias infundidas por el cariño maternal llegan a un sitio del alma donde más tarde no alcanzan las lecciones trasvasadas con el rigor del pedante. La mujer no sólo nos forma con la carne de su carne y la sangre de su sangre, no sólo nos nutre a sus pechos y nos conforta en su regazo, sino también nos impregna de sus sufrimientos, nos trasfunde sus ideas, y como el Jehová de la leyenda bíblica, nos modela a su imagen y semejanza. Si llevamos el nombre de nuestro padre, representamos la hechura moral de nuestra madre. En tanto que los políticos se jactan de monopolizar la dirección del mundo, las mujeres guían la marcha de la Humanidad. La fuerza motriz, el gran propulsor de las sociedades, no funciona bulliciosamente en la plaza ni en el club revolucionario: trabaja silenciosamente en el hogar. Esto lo comprenden muy bien los “ministros del Señor”, y sonríen maliciosamente cuando sus enemigos se lanzan a fulminar rayos contra la Religión, mientras las seráficas matronas corren a engrosar el “dinero de San Pedro” y suscribir los manifiestos de la Unión Católica. Duermen tranquilos, soñando que las grandes reformas mueren al nacer o duran muy pocos años, si no logran echar raíces en los corazones femeninos: contando con la madre, cuentan con el niño, poseen el hoy y tienen asegurado el mañana. Dejan, sí, de sonreír los sacerdotes y sufren amarguísimos desvelos o terroríficas visiones citando saben que una sola de las innumerables creyentes se rasga la venda de la Fe y recurre a ver con la luz de su propia razón. Perder a las mujeres, ¡horrible pesadilla de la Iglesia! El Catolicismo, que solo se mueve por la irresistible fuerza de impulsión recibida en otras épocas, gira sobre dos puntos: la mala fe del hombre y la ignorancia de la mujer. Cuando falte el polo femenino, )dónde irá el complicado y vetusto mecanismo de ruedas oxidadas y ejes desnivelados? Esto no lo comprenden o fingen no comprenderlo muchos reformadores, y dejan a sus esposas bajo la humillante dominación del clero. Para ellos, el saber y la incredulidad; para ellas, la ignorancia y el fanatismo. Matrimonios basados en semejantes principios )merecen llamarse ayuntamientos de seres racionales? Lo más dulce de la unión amorosa no reside en el contacto de dos epidermis ni en la simultaneidad de dos espasmos: está en la vibración unísona de dos corazones, en el vuelo armonioso de dos inteligencias hacia la verdad y el bien. Los animales se unen momentáneamente, los dos sexos humanos deben aliarse para engrandecerse y perfeccionarse. No se arguya que soñamos al enunciar la posible asimilación de las mujeres a los hombres; confiésese más bien la incuria o la necedad del marido al no saber aprovechar de su fuerza. En las batallas por la idea no se conoce auxiliar más poderoso que el amor. Como la mujer amante quiere ser dominada y poseída, el hombre amado adquiere una irresistible fuerza de absorción: puede reinar con la ternura y la verdad, en oposición al sacerdote que domina por el miedo y el error. Así, pues, el marido que en algunos años de vida estrecha con la esposa no logró convertirla, dominarla ni absorberla en corazón y cerebro, poseyó el incentivo carnal para seducir y fascinar a la hembra, no tuvo la elevación varonil para levantar y redimir a la mujer.Compadezcamos a los “infelices” que se manifiestan hombres para engendrar, no para ejercer funciones viriles de un orden superior. Al dejar que sus hogares se envilezcan y se fanaticen, ellos son las primeras víctimas, tan merecedoras de lástima como del ridículo. El fanatismo no produce menos estragos que el éter, la morfina, el alcohol, o el opio: al adueñarse de una mujer, la deprime intelectual y moralmente, la despoja de todas las seducciones femeninas, la transforma en ese algo asexual o neutro que se llama una devota. El marido que en los primeros días del matrimonio entregó al sacerdote una esposa amable y agraciada, recibe a los pocos años una rezadora de virtud angulosa y astringente, una altarera sin higiene en el cuerpo ni ternura en el alma, una ogresa mística y santa que vive oponiendo a todo impulso racional un inamovible murallón de ignorancia y terquedad. Cuando ya no tiene remedio, los fanatizadores de su hogar se convencen de que amando mucho a Dios, las mujeres concluyen por hacerse aborrecer de los hombres. IV Deseo precisar y condensar algunas ideas, a riesgo de incurrir en monótonas repeticiones y cansar a las personas que se dignan escucharme.En toda época y en todos los países la mujer fue víctima y arma del sacerdocio. Cuando el orgullo masculino intentó sacudir la opresión sacerdotal, intervino la voluptuosidad femenina para desvigorizar al hombre, adormecerle y remacharle la cadena. Eso lo palpamos hoy mismo, no muy lejos de nosotros: los sacerdotes arrastran a las mujeres, las mujeres arrastran a los hombres, y los hombres se dejan arrastrar, convertidos en el rebaño de Panurgo. Algunos aparentan rebelarse y chillan al aire libre; pero los más se resignan y callan a la sombra del baldaquino. Poseen doble naturaleza: en la calle, lobos que devoran a clérigos y frailes; en la casa, ovejas que lamen las manos de monseñores y reverendos padres.Y sin embargo, muchos corderos con momentánea y callejera piel de lobo gastan ínfulas de ejercer un apostolado: rivalizarían con Tolstoi. No llamemos “apóstol de gentes” a quien nunca supo ni quiso ejercer acción eficaz en el diminuto radio de su familia, y desconfiemos del propagandista que alegando una excesiva tolerancia, forma un hogar con olor a misa cantada: es el rosal produciendo bellotas, el águila empollando avestruces. Para sanear las poblaciones, se comienza por desinfectar los domicilios, pues no cabe higiene pública sin higiene privada; cuando se desea secularizar un pueblo, se debe hacerlo con las familias, pues no se concibe un todo libre constituido por fracciones esclavas. Más que al Estado, cumple a los individuos la secularización de la vida. D
esterrando del hogar al sacerdote, se le arroja de la escuela; quitándole la madre, se le arrebata el niño, se le cierra el porvenir. No se trata de promulgar como ley de la familia el “creer o morir” de inquisidores y musulmanes. Los que rechazan la tiranía de un Ser Supremo y niegan la infalibilidad de un pontífice, desconocen también la autocracia de un esposo. En el matrimonio verdaderamente humano, no hay un jefe absoluto, sino dos socios con iguales derechos, no hay un déspota sino el hermano mayor de sus hijos. La acción brutal del grosero apóstol en las almas sensibles de mujeres y niños debe compararse con la dentellada del jumento en un ramo de flores o con el trompazo del elefante en los anaqueles de una cristalería. Se trata de emanar una atmósfera de bondad y justicia, no recurriendo a la intimación despótica sino a las insinuaciones fraternales, no invocando la autoridad sino aduciendo la prueba. Los errores no se parecen a hierbas superficiales que violentamente erradicamos con la punta de un arado, ni las verdades se igualan con clavos de acero que de un solo martillazo introducimos en el corazón de un leño apolillado: el error huye paso a paso, la verdad se infiltra gota a gota. El hombre cuerdo no impone, que la imposición hiere el orgullo y suscita la resistencia; manifiesta con hechos que entre un espíritu libre y un devoto las diferencias no abonan al rezador. Tanto vale creer sin pruebas como negar sin razones. Hay una cosa soberanamente ridícula y vana, dogmatizar; hay un personaje verdaderamente risible y odioso, el inquisidor a la inversa, el sacristán del librepensamiento. Como nos reímos del intransigente por ignorancia, moda o capricho, burlémonos del tolerante por desidia o conveniencia. Muchas veces llamamos tolerancia a la fofedad en las convicciones, a la maleabilidad de carácter, a la contemporización humillante con los errores, a la cobardía para delatar las iniquidades. La intolerancia no consiste en oponer tribunas a tribunas, libros a libros o rechazos enérgicos a embestidas brutales, sino en amordazar las bocas, romper las plumas y encarcelar o suprimir al adversario. No hay tolerancia en consentir la deformación de los cerebros infantiles por medio de una educación anticientífica: hay egoísmo criminal. No aceptamos los tradicionales derechos del “pater familias”. Como protestamos de considerar a la esposa una sierva o propiedad del marido, neguemos también que un hijo pertenezca absolutamente al padre. El alma del niño no es del padre, de la madre, ni del sacerdote, es de la verdad, de ese algo tan fecundo que no se encierra ni puede encerrarse en el estéril credo de ninguna religión. Más aún, señores: el niño no se pertenece ni a sí mismo: se debe a la Humanidad, se halla en la obligación de allanar el camino a las generaciones futuras. No hemos venido a la Tierra para beber el agua, comer el pasto y legar la única herencia de un esqueleto.A la tolerancia mal comprendida agreguemos el pesimismo desconsolador. Nada tan “dulce” como esa “amarga” filosofía que nos induce a cruzarnos de brazos y permanecer indiferentes en las luchas humanas, repitiéndonos a nosotros mismos que de nada serviría la intervención en apoyo del bien, desde que el mal triunfa necesaria y eternamente. Más )qué penetramos nosotros de la vida y del Cosmos para deducir la inutilidad de la acción? Nada se pierde en el Universo, todo produce algo en alguna parte. El desplazamiento de una imperceptible arenilla ocasiona tal vez la desviación de un río caudaloso. La agitación de un infusorio en tina gota de agua influye quizá en las tempestades del Océano. El aleteo de una mariposa en el nectario de una flor llega quién sabe a repercutir en el disco de la estrella más lejana. Puede que algunas de las verdades enunciadas en este lugar, vayan a sacudir el sueño de algún espíritu aletargado en el seno de las supersticiones. Reconózcase la degradación de un pueblo y el estancamiento de una época; no se niegue el avance del ser colectivo hacia un reinado de verdad y justicia. La Humanidad es una inmensa caravana, mejor dicho, un ejército con sus perezosos y sus cobardes. Mientras unos duermen o desertan, los otros marchan y combaten. El nivel de la especie humana sube muy lentamente, pero sube. Y la ascensión se verifica, no porque la muchedumbre inicie el movimiento, sino porque unos individuos de buena voluntad surgen de cuando en cuando para condenar el egoísmo inhumano y sostener que, sobre las conveniencias materiales, deben colocarse los sentimientos magnánimos encarrilados por las ideas levantadas, lo que gráficamente hablando quiere decir: más arriba del vientre se halla el corazón y más arriba del corazón está la cabeza. Auguremos, pues, el buen éxito de una propaganda enérgica y razonable, iniciada en el recinto de la familia para irradiar en todos los ámbitos de la República. Algún día, tal vez no muy lejano, los enemigos domésticos se transformarán en los mejores aliados. Cuando las mujeres vean la conformidad de acciones y palabras, cuando palpen que las almas libres alcanzan donde no pueden llegar las conciencias maniatadas, cuando constaten que una moral sin obligación ni sanción ennoblece más que la añeja teoría de premios y castigos, entonces abandonarán al sacerdote por el sabio, la iglesia por el hogar, el Dogma por la Razón: todos los errores pueriles, todas las supersticiones femeninas, irán a desaparecer en la convicción inalterable del hombre, como los ríos cenagosos corren a purificarse en el agua incorruptible del mar. Pero que ellas mismas, principalmente las casadas, cesen de limitarse al humilde papel de catecúmenas, esperanzadas en la acción redentora de sus maridos; los tiranos y los brutos domésticos abundan más de lo que nosotros imaginamos. La felicidad no se aguarda del cielo ni se mendiga de otros; se persigue por sí mismo, se conquista con sus propios esfuerzos. Violando leyes canónicas y civiles, arrostrando preocupaciones burguesas, constituyendo un hogar libre cuando el hogar católico encierra oprobio, desesperación y muerte, la mujer realiza tres obras igualmente laudables: busca la felicidad donde piensa encontrarla, enseña el camino a las víctimas de ánimo débil y ofrece un alto ejemplo de moralidad. Sí, señores, de moralidad, aunque protesten los rezagados y los hipócritas. Me dirijo a personas emancipadas, y no temo llamar las cosas por sus verdaderos nombres: meretrices son las esposas que sin amor se entregan al marido, espúreos son los hijos engendrados entre una pendencia y un ronquido; honradas son las adúlteras que públicamente abandonan al esposo aborrecible y constituyen nueva familia santificada por el amor, legítimos y nobles son los espúreos concebidos en el arrebato de la pasión o en la serena ternura de un cariño generoso. Los ultrajes de “bastardo y adulterin”o nada significan para gentes que piensan y no estiman la honradez de un hogar por los asperges de agua bendita. A juicio de todo un Shakespeare, el bastardo nacido en la clandestina voluptuosidad de la Naturaleza, posee mejor sustancia y mayores energías viriles que el enjambre de currutacos o lechuguinos engendrados entre un sueño y una vigilia, en una cama triste, monótona y puerca, Donde laica y libremente se unen do
s organismos sanos y jóvenes, refunfuña el gazmoño, pero sonríe la Tierra. El matrimonio de una moza con un viejo, de una persona lozana y robusta con otra enferma y enclenque, de la impotencia y la muerte con la fecundidad y la vida, he aquí los delitos imperdonables y vergonzosos, porque significan desperdicio de fuerzas creadoras, fraude en el amor, robo a la Naturaleza. Según Tocqueville, “quien ha formado la América del Norte es la mujer norteamericana”. Ella formaría no sólo cien Américas, sino crearía mil universos. Cada esposa fecunda lleva en sus entrañas el germen de futuras humanidades, llamadas a expandirse en la individualidad consciente o condenadas a vegetar en el gregarismo religioso. En el niño posee la madre un bloque de mármol donde bosquejar una estatua griega. Desgraciadamente, merced a la intervención de monjas y padres, el bloque se transforma en una parodia de la figura humana. Nosotros conocemos la sicología de seres amamantados en la servidumbre y el fanatismo, apenas si concebimos la mentalidad de niños educados según la libertad y la ciencia. Los que nacimos bajo una capa de absurdos y supersticiones, los que hoy mismo nos asfixiamos en una atmósfera de antiguallas y prejuicios, los que desearíamos empujar a las muchedumbres para hacerlas recorrer en un solo día el camino de muchos siglos, no miraremos la florescencia de una raza sin morales vetustas ni religiones prehistóricas. Voltaire, viejo y moribundo, exclamaba:”¡Felices los jóvenes porque verán cosas muy grandes!”  Imitando al infatigable luchador del siglo XVIII, digamos nosotros sus discípulos: (felices los que vengan mañana porque vivirán, no en la “Jerusalén divina”, sino en la ciudad laica, sin templos ni sacerdotes, sin más divinidades que el Amor, la justicia y la Verdad! Concluyo, señores, diciendo algo que desearía grabar en el cerebro de todas las mujeres y también de muchos maridos: los pedagogos elaboran pedantes, los sacerdotes fabrican hipócritas, sólo las verdaderas madres crean hombres.

Manuel Gonzalez Prada

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Gustavo Flores Quelopana: El Radicalismo Libertarista de Manuel González Prada

Gustavo Flores Quelopana
Miembro de la Sociedad Peruana de Filosofía
Conferencia leída en el Centro Cultural España, Lima 2006
1. Radicalista libertarista

Manuel González Prada no es un anarquista ortodoxo, ideológico, creador, ni consecuente, sino que es más bien un radicalista libetarista, a lo sumo, un anarquista romántico.

González Prada es el pionero del pensamiento radical peruano que precursa el indigenismo de Pedro Zulen y el socialismo sin calco ni copia de Mariátegui. Fue, además, el primero en reivindicar a fines del siglo diecinueve el Perú indígena. Como perteneciente al sector cultural criollo moderno, de educación hispanista y cultura francesa emprendió una cáustica crítica antioligárquica, primero desde el punto de vista liberal-positivista y luego desde el punto de vista del anarquismo romántico.

Pero su evolución ideológica al anarquismo no estuvo acompañada de la capacidad para elaborar un programa nacional de acción, crítica que también le hace J.C. Mariátegui. En sus dos fases de evolución intelectual nunca se desprendió de la versión modernista y eurocéntrica permitiéndole insistir en los ideales de progreso y modernidad, y todo ello considerando al indígena como la esencia única del Perú posible. Tesis a todas luces envejecida, desfasada y anacrónica para el Perú contemporáneo de todas las sangres. Para Luis Alberto Sánchez nuestro «griego extraviado entre zambos», como gustaba decir Federico More, ostentaba un anarquismo individualista aderezado con prejuicios raciales, mientras que para el amauta lo que abraza González Prada es el anarquismo colectivista utópico de Bakunin y no el marxismo.

Pero lo cierto es que González Prada, así como no elaboró nunca un programa claro para los indígenas, tampoco formuló un ideario anarquista propio, ni claro ni definido. Es, precisamente por ello, que no se le puede inscribir en ninguna de las cuatro corrientes anarquistas conocidas: la individualista de Stirner, Warren y Tucker, con su concepción egoísta del hombre, la defensa de la propiedad privada, la postura antimonopólica y la asociación con cupones de trabajo; la mutualista de Proudhon, con su reconciliación de la propiedad privada con el comunismo; la colectivista de Bakunin, con su rechazo del comunismo autoritario y el control directo de los trabajadores de los medios de producción social; y por último la comunista de Malatesta, Reclus y Kropotkin, con su idea de la solidaridad como medio para eliminar las diferencias de la propiedad, comunas asociadas y un comunismo voluntario y no forzoso. Las variantes del anarquismo van, como se ve, desde los que defienden la propiedad privada y libre mercado, pasando por los que abogan por la propiedad común hasta los que preconizan el trabajo cooperativo y la distribución según las necesidades. Pero tampoco se preocupó nuestro adalid de formular una nueva variante ideológica nueva dentro del anarquismo. Es clamoroso en González Prada la ausencia se programa político y económico.

Por ello, tanto Sánchez como Mariátegui exageran en su ubicación anarquista. El primero incurre en ingenuidad filosófica, mientras que el segundo lo aproxima, por ejemplo, a Bakunin porque le parece que al defender al indio y a sus comunidades se aproxima de alguna forma a la autogestión bakuniniana. En algo, por lo menos, sí se puede estar seguro, y es que el instinto felino libertario de González Prada lo apartó violentamente, como de una repugnancia, del autoritarismo comunista del marxismo. No está demás señalar que, el gran debate entre anarquistas y marxistas por dicha época gira en torno a dos puntos centrales:

Primero, su crítica al Estado, considerando que sus funciones pueden ser asumidas de modo privado o por las autoridades locales, además que la elección debe ser revocable, y segundo, el camino hacia el socialismo, que no sería a través del Estado de trabajadores que repite el privilegio y la opresión que se desea eliminar, como efectivamente se produjo históricamente en los regímenes comunistas. Además, siempre defendieron la idea que el poder político tenía dinámica propia y que no podía ser reducido a un determinismo económico, y que eran los marginales y no el proletariado la esperanza máxima del cambio social. Por ello, el lado más fecundo de González Prada no es su aspecto ideológico, no fue un teórico o un doctrinario del anarquismo, sino su aspecto crítico. Curiosamente lo mismo ha sucedido con la historia misma del anarquismo europeo que influyó como fuente de ideas críticas sobre socialistas, con las ideas antiestatalistas; liberales, con la defensa radical de la libertad de expresión; ecologistas, con las ideas de los derechos de los animales; y feministas, con las ideas de las relaciones humanas sin explotación.

Pues, políticamente el movimiento anarquista fue insignificante y un fracaso, más aun cuando entre 1880 y 1890 pusieron práctica métodos terroristas en Italia, Francia y la Rusia zarista. El repudio popular hacia sus métodos e ideología fue tajante, lo cual les hizo evolucionar hacia el anarcosindicalismo. Pero siempre quedó claro que no eran partidarios ni de la reforma ni de la revolución sino de la revuelta. Su último experimento histórico se produjo durante la guerra civil española, pero al final tuvieron que ceder ante los republicanos.

Tampoco se trata de que nuestro patriarca radical desconociera estos movimientos, dado que como es sabido desde su famoso discurso en el teatro Politeama en 1888 hasta su participación en la fundación del Partido Radical Unión Nacional, el mismo que abandonó, abrazó la ideología positivista liberal, laica y nacionalista, sin embargo su estadía en Europa hasta 1898 lo hizo conocer in situ el movimiento anarquista, corriente en auge por entonces en España y Francia.

La ambigüedad de su conducta política, que motivó el reproche de Riva Agüero, Basadre y más tarde de Vargas Llosa, en realidad demuestra el perfil más intelectual que ideológico de nuestro libertario. Por lo demás, en su compromiso social no tuvo, como señala Sobrevilla, metodología científica. Como intelectual González Prada estaba más interesado en corroer con su estilo marmóleo y prosa escultórica, como señaló Rufino Blanco Bombona, las bases de la oligárquica y latifundista sociedad semifeudal peruana.

2. Reflejó retraso del debate político

El hecho de adherirse al núcleo teorético del anarquismo, la sociedad puede y debe organizarse sin la autoridad coercitiva del Estado y de la Iglesia, es en su caso también problemático. Porque estando el Perú sumido en una profunda crisis, propugnaba una necesidad de secularizar y modernizar el país a través de la destrucción del Estado oligárquico, pero no del Estado en cuanto tal. Puede decirse que en esto él se aferra al núcleo doctrinal del anarquismo, en tanto que el anarquismo no se opone a todo tipo de autoridad, sino, que reconoce la autoridad moral y la autoridad de los expertos, o tecnócratas como se dice ahora. Se rechaza sólo la autoridad coercitiva, inmoral y jerárquica (iglesia, ejército, empresa, etc.).

Esto se condice con su anticlericalismo, su fe en la reforma social, su sobreestimación del individuo y justificación de la violencia individual. También su desdén e intolerancia religiosa, señalada ya por Víctor Andrés Belaunde, dejaba sin advertir el nuevo imperio opresivo de la dimensión inmanente y secular sobre el hombre. Opresión que se verá fortalecida por su deificación de la ciencia, su visión cientificista del desarrollo social.

Su pensamiento evolucionista abraza todos los mitos fundamentales de la modernidad (racionalismo, cientificismo, secularismo). El peruanista norteamericano Thomas Ward ha pretendido verlo como anarquista e inmanentista, negando su filiación atea, positivista y socialista. Pero las limitaciones filosóficas y políticas de nuestro pensador finisecular constituyen un impedimento poderoso para atribuirle tan exageradas calificaciones.

En realidad, su voluntarismo anarquista no tiene propuesta económica-social, ni tampoco hay en él praxis política consecuente. Y su secularismo es más panfletario que filosófico. Fue un fracaso como político activo, pero un faro luminoso en el pensamiento del radicalismo libertarista. No es que deseó quedarse sin programa político, era más bien que sus dones lo convertían en un genial propagandista, en un versátil crítico en vez de un coherente y original ideólogo.

Es hora que, aprovechando la distancia del tiempo, lo clasifiquemos con serenidad y desapasionamiento, para dejar establecido que Manuel González Prada no puede ser entendido en su filosofía política como anarquista, en ninguna de sus cuatro variantes ni en alguna variante personal nueva, porque no tuvo tal filosofía política. El es más bien un radicalista libertarista y no un pensador anarquista.

Puedo comprender el profundo disgusto y enfado -tal como ocurrió en el Centro cultural español cuando compartí estas reflexiones durante una conferencia- por tal apreciación de nuestra de señera efigie intelectual, tan habitualmente señalada como anarquista, sobretodo porque hay muchas figuras y figurones del autoritarismo que se han camuflado en el anarquismo ante el naufragio de sus navíos ideológicos, buscando otra tabla de salvación. Pero a éstos especialmente hay que hacerles recordar que, el legado más permanente de González Prada es que su antiautoritarismo sólo tiene futuro profundizando la democracia.

En el Perú Manuel González Prada representa el infradesarrollo teórico del anarquismo, el cual no alcanzó los estilos anarquistas europeos. Su adherencia externa obedece a que no sólo es primeramente un intelectual y no un político, sino a que en el país tampoco hubo socialismo utópico, influyendo en ello el atraso de nuestra vida intelectual. Así, no se puede afirmar que en González Prada se produce una sincronización anarquista entre el Perú y Europa, sino más bien, una diacronía, y ello a pesar de que él fue testigo de excepción de las corrientes anarquistas y socialistas en el Viejo Mundo.

Manuel González Prada, como Abelardo Gamarra, son las figuras más relevantes de la izquierda peruana de entonces, anterior a la eclosión del pensamiento comunista, entendieron que el anarquismo era una corriente contrapuesta al socialismo. Cuando se produce la caída del zarismo los discípulos obreros de González Prada desde las páginas del diario La Protesta se entusiasmaron pero criticaron acremente las tendencias autoritarias del nuevo Estado bolchevique. Por ello, Mariátegui al regresar de Europa como marxista «convicto y confeso», no asume una actitud agresiva frente al anarquismo peruano, sino que pone énfasis en la política de «frente único» y en la importancia del sindicalismo en la formación de la conciencia de clase, producto de su compenetración con la obra de su autor más citado: George Sorel. Pero también hubo un sector de discípulos de González Prada que aceptaron con agrado el marxismo: el socialismo arequipeño de índole intelectual de Lino Urquieta.

3. Radicalismo Gonzalopradeano

Para esclarecer el radicalismo gonzalopradeano podemos hacer la siguiente precisión: mientras el conservadurismo es la idea de que la acción política puede mejorar la condición humana sólo en cuestiones menores, el radicalismo es la idea de que la acción política puede mejorar la condición del hombre en cuestiones mayores.

Eso por un lado, pero también gran parte de los radicales han sido liberales durante la última década del siglo xviii (liberalismo británico) o socialistas de las décadas de 1820 y 1830 (socialistas ricardianos). Los primeros representaron una amenaza contra el orden aristocrático que prevalecía y jugaron un papel de primera magnitud en el avance de la democracia parlamentaria; los segundos constituyeron la piedra en el zapato del orden burgués por su crítica al sistema capitalista. Pero el pensamiento fascista, que en el Perú tuvo su auge potente con el partido Unión revolucionaria entre los años 1930 hasta 1945 en sus tres vertientes: aristocrática (José de la Riva Agüero, Carlos Miro Quesada Laos y Víctor Andrés Belaunde), mesocrática (Raúl Ferrero Rebagliatti) y popular (Luis A. Flores), también puede ser entendido como ideología de derecha radical; y el anarquismo como ideología de izquierda radical.

Esto supone que, el radicalismo define una disposición a cuestionar críticamente las instituciones existentes y a defender la reforma o abolición de las que no pueden justificarse.

Por su parte, hemos definido el radicalismo gonzalopradeano como radicalismo libertario, para diferenciarlo de los otros cuatro tipos de radicalismo (liberal, anarquista, socialista y fascista). El suyo es más una postura y un gesto, en vez de un credo político desarrollado y su praxis se limita al discurso, la propaganda y el libro, en vez que al Partido, el Comité o las manifestaciones. Es por ello que su anarquismo, como su indigenismo, es más un gesto que un desarrollado programa político o una sistemática acción subversiva.

Es indudable que sus ideas fueron una amenaza para el orden civilista semifeudal, centralista, gamonal y oligárquico, pero también es cierto que su ácida crítica contribuyó para que la plutocracia civilista de posguerra se planteara, por primera vez en la historia de la república, la tarea de poner en práctica un proyecto nacional, el cual tuvo un pronunciado matiz nacionalista hasta que el modelo fue revertido por el leguiísmo entreguista y antinacional. Pues, sería el pronorteamericano oncenio Leguía, y no sus antecesores López de Romaña ni Billingursth, el que espolearía las consignas revolucionarias antiimperialistas del partido comunista y del Apra.

Manuel González Prada es tan libre que carece de credo político desarrollado. Si libérrima condición le permite adherirse a la recusación anarquista del autoritarismo, pero sin ser doctrinariamente un anarquista «convicto y confeso». Por ello, no es su anarquismo el que da forma a su radicalismo, sino al contrario, es su radicalismo el que informa a su anarquismo.

Esta peculiar situación intelectual suya no es un capricho personal, sino que está vinculado con la correspondiente situación estructural del Perú de entonces: la coexistencia anómala de un sólido feudalismo junto a un naciente capitalismo. Su anómalo e incompleto anarquismo es tan anómalo como la estructura social misma del Perú, y por ello resulta un intelectual orgánico con la realidad nacional de las mayorías nacionales, pero también un intelectual inorgánico en relación a las doctrinas europeas del anarquismo. Pero ello no nos permite sostener que esto sería su versión anarquista «a lo peruano», porque su propósito no fue nunca presentar un programa político completo y cabal.

En conclusión, nuestro insigne escritor Manuel González Prada no fue nunca un pensador anarquista insólito y original, ni puede ser visto como un anarquista ortodoxo y escrupuloso con ninguna de las cuatro tendencias en boga por Europa. No fue un anarquista ideológico, sino a lo sumo, un anarquista romántico, pero sí fue un pensador del radicalismo libertarista. Y esto no puede ser comprendido como su versión personal y creativa del anarquismo porque careció de propuesta económica y social cabal, coherente y sistemática. Fue un incitador, un propagandista antioligárquico y un indómito defensor insobornable de la libertad humana.

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Muere en Lima, Manuel Gonzales Prada, escritor y ensayista peruano

Muere en Lima, Manuel Gonzales Prada, escritor y ensayista peruano :

Escritor peruano, figura más discutida e influyente en las letras y la política del Perú en el último tercio del siglo XIX. Poeta, pensador, ideólogo, periodista y reformador radical en todos los frentes, lo convierte en una personalidad de relieve continental en un momento dominado por el modernismo.

Nació en Lima un 5 de Enero de 1844 y murió un 22 de Junio de 1918. Sus orígenes se remontan a una familia aristócrata de linaje y devoción religiosa. Sus padres fueron Don Francisco Gonzáles de Prada y Doña Josefa Álvarez de Ulloa, recibió el nombre de José Manuel de los Reyes Gonzáles de Prada y Ulloa, que realzaba el hecho de que naciera en una fecha notable del santoral cristiano, cosa que más tarde le disgustaría sobremanera, eligiendo entonces firmar con la forma abreviada de Manuel Gonzáles Prada.

En un célebre discurso en Lima, el año 1886, proclamó: «¡Los viejos a la tumba, los jóvenes a la obra!» convocando a la lucha por el cambio social, contra las malas ideas y los malos hábitos, contra leyes y constituciones ajenas a la realidad peruana, contra la herencia colonial, contra los profetas que anunciaban el fracaso definitivo de América Latina.

Convertido en la voz del nuevo Perú, que debía surgir de la derrota de la Guerra del Pacifico, denunció los males que el país arrastraba por siglos, entre ellos la indiferencia por la condición infrahumana del indígena; su prédica, hecha en un estilo implacable y cientificista con raíces positivistas, fue creciendo en intensidad y radicalismo, como lo demuestran sus obras.

Al volver de un viaje por Europa (1898), empezó a divulgar las ideas anarquistas que había descubierto en Barcelona, y fue identificándose cada vez más con los movimientos obreros anarcosindicalistas. Como prosista, González Prada es recordado principalmente por Páginas libres (1894) y Horas de lucha (1908), obras en las que muestra una creciente radicalización de sus planteamientos.

Defendió todas las libertades, incluidas la de culto, conciencia y pensamiento y se manifestó en favor de una educación laica. En el artículo Nuestros indios (1904), explica la supuesta inferioridad de la población autóctona como un resultado del trato recibido y de la falta de educación. Como poeta, publicó Minúsculas (1901) y Exóticas (1911), que son verdaderos catálogos de innovaciones métricas y estróficas, como los delicados rondeles y triolets que adaptó del francés y, cómo no mencionar, sus Baladas Peruanas (1935), que recogen tradiciones indígenas y escenas de la conquista española que fueron escritas a partir de 1871.

Finalmente, es de destacar su discurso del Politeama de 1888, en el que plantea el problema de si el Perú existe o no como nación ya que desde la creación de la República Peruana este tema fue eludido. Los próceres criollos evitaron responder a la pregunta de ¿Qué somos? Lo evitaron porque algunos de ellos se definieron como «españoles americanos» y el culto por lo hispano, la añoranza de la Madre Patria, caracterizaba al grupo criollo hegemónico en el Perú y, al mismo tiempo, que acrecentaba su desprecio por lo indígena. Jamás llego a existir rasgo alguno de identidad colectiva que nos definiera como nación.

Rindamos homenaje a este ilustre peruano en un aniversario más de su fallecimiento, dedicando unos minutos de este día a reflexionar sobre su pensamiento y sus obras, que nos orientarán ahora para la mejor comprensión de nuestra nación.

Tomado de: http://www.deperu.com/calendario/junio.php?dia=22&cel=459

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Viaggio nel movimento libertario sudamericano: il Perù

Essere invitati alla celebrazione della nascita di un signore del quale non si sa nulla è un modo inusuale e fortunoso per iniziare un viaggio che si pone l’obiettivo di approfondire i rapporti con l’emergente movimento libertario peruviano e che si è anche indirizzato nel conoscere la realtà delle comunità campesine di tradizioni andine.

Veniva commemorato Teobaldo Cayetano Morales, nato nel 1907, scomparso a Lima nel 1997. Di professione panettiere, dedicò tutta la vita alla lotta sindacale a favore del bene comune della propria comunità, che ancora oggi lo ricorda, con la memoria di chi lo ha conosciuto e con quella tramandata dai risultati ottenuti attraverso la lotta quotidiana. Una lotta che si è sempre rifatta alla tradizione anarcosindacalista, avendo il Perù, sotto questo profilo, un patrimonio di tutto rispetto, oggi dimenticato dai più, ma non da chi ha ottenuto, grazie ad essa, risultati tangibili.

Nato nella provincia Limena, Morales partecipò giovanissimo alla cellula libertaria «Braccio e cervello» e, successivamente, alla federazione dei lavoratori panettieri «La stella del Perù». Il suo pseudonimo era Manuel Estrada. Segretario regionale in Lima, capitale del paese, e in Huancayo, fu negli anni ‘40 e ‘50 attivo con gli anarcosinadacalisti nel dipartimento di Pasco. In primo piano nella lotta per le otto ore di lavoro affiancò un’altra limpida figura di anarcosindacalista: Delfin Lèvano.

«Nella interminabile notte della mia vita – disse – alla luce degli ideali anarchici mai aspirai ad ammassare fortune, mi affannai solo ad ammassare il pane di ogni giorno».

Altri compagni anarcosindacalisti devono essere ricordati: Gutarra, Fonkèn, Barba: persone la cui memoria storica può rappresentare un importante riferimento per il giovane e dinamico movimento libertario del Perù.

La festa della comunità, a cui fui invitato fin dalla prima serata di commemorazione di Teobaldo, è stata un’ulteriore opportunità per meglio comprenderne la composizione. Si è infatti aperta con una corrida, rigorosamente «sin sangre» e rispettosa dei tori, che possono mettere in mostra la loro incazzevole intelligenza (ci sono quelli che studiano l’avversario, fingono attacchi e puntano l’uomo, quelli che si creano antipatie viscerali e perseguitano sempre lo stesso, anche quando è barricato dietro il «paratori»), dando vita a uno spettacolo divertente, valido anche per i bimbi. Ed è continuata con la preparazione della pachamanga, antico piatto Inca: un rito cui molti partecipano dando, anche se piccolo, un contributo d’attenzione e di aiuto. Si tratta di carne condita con erbe e spezie locali, patate a noi europei mai giunte, mais, una specie di fave, il tutto cotto in un buco nella terra, in cui sono immessi sassi di fiume, precedentemente arroventati. L’insieme viene seppellito dalla terra rimossa nello scavare il buco; non un filo di fumo deve fuoriuscire, e dopo due ore e mezza il pranzo è servito, squisito e ricco, in un tavolo comune; la bevanda, un infuso di erbe, è compresa nel pasto. Una tempistica sudamericana e poco rispettosa degli orari ha poi reso il pranzo una ricchissima merenda, e l’attesa ha facilitato l’appetito.

Il campo in cui si è svolto l’evento è di circa 15.000 metri quadrati. Situato alla periferia di Lima, è uno spazio di proprietà della comunità, adatto per farci iniziative d’incontro: dei gruppi anarchici sudamericani, delle comunità che si rifanno all’autogestione, dei lavori prodotti attraverso di essa.

Alcune sono già allo studio per il prossimo anno. Ad esempio l’idea di costituire la Federazione Libertaria del Perù è frutto della volontà di alcuni gruppi di Lima che, partiti dall’idea di costituire la federazione Limena, visto l’interesse manifestato durante le tre giornate anarchiche del luglio 2007 da parte di gruppi attivi in altre province, sono ora decisi a costituire invece la Federazione Peruviana, per la quale invitano tutti i compagni europei a contribuire.

C’è poi il coordinamento delle comunità andine che si rifanno ai principi autogestionari, un patrimonio che, per quel poco che si è potuto comprendere da una superficiale analisi iniziale, può rappresentare una fonte vitale per tutto il movimento anarchico internazionale. Esperienze concrete durate decenni e decenni, in alcuni non sporadici casi, in cui i principi autogestionari si sono radicati nei comportamenti del vivere sociale, ridando nuovi significati a ruoli di aggregazione come per esempio la famiglia e dimostrando il valore che può avere la democrazia diretta nella gestione anche di aspetti di grande respiro come quelli ambientali.

La USI di Bologna si propone di organizzare, per chi è interessato, viaggi di studio, di lavoro, ricerca presso alcune di queste comunità, e di appoggiare, nei limiti delle sue possibilità, la costituzione di un’organizzazione anarco-sindacalista in Perù.

Un significativo esempio di queste comunità è rappresentato dalla comunità Abitacional Volcan. Situata a circa un’ora dalla città, abbarbicata all’estrema periferia di Lima, è parte della più ampia comunità Jacamarca, di origine andina e campesina, parzialmente trasferitasi, nella capitale, nel distretto S. Antonio, provincia di Huarochiri.

La storia della comunità Volcàn, composta da circa 120 famiglie che vivono senza alcun aiuto dei governi locali e nazionali, ha inizio nel 2001. Esiste al suo interno quella cultura organizzativa che rende i suoi popladores organizados, «quelli che non si rassegnano alla propria sorte». Hanno così, assemblearmente, sviluppato l’importante progetto di un «centro autogestionario di servizi» che ha come finalità quella di emancipare la comunità dalla povertà, un progetto di emancipazione umana e di sviluppo sociale, un preciso e dettagliato piano per elaborare e preparare un’alternativa di sviluppo, per risolvere con qualità i problemi concreti, favoriti dalla organizzazione e mobilitazione cosciente dei comuneros.

Nel documento sono descritti gli aspetti basici della gestione, ponendo la municipalità di Lima e il distretto di fronte a un esempio che si sta affermando con le sue iniziative, come quella della scuola autogestionaria, cui la USI di Bologna ha contribuito, che è stata sancita come realizzabile e legalmente accettata, e che, insieme alla biblioteca popolare (in fase di costruzione), sarà terminata entro breve.

Ne riportiamo sinteticamente gli aspetti principali:

«PROGRAMMA GRUPO ABITACIONAL VOLCAN 2007 2008

CENTRO AUTOGESTIONARIO DE SERVICIOS ASISTENCIAS Y PROMOCION HUMANA ALMA LATINA – PERU’

La giunta direttiva Volcan, nel compimento del proprio mandato di funzioni e lavoro, iniziando il dialogo con tutta la comunità e con ogni persona presente, augurandosi che il contributo creativo permetta l’azione comune e solidale con l’articolazione degli apporti culturali con le idee, economici tramite le quote, di sforzo con il lavoro e di creatività personale, al fine di realizzare un processo di azioni costruttive per concretizzare proposte di gestione alternative e autogestionarie

PRETENDE INIZIARE IL CAMMINO CON AZIONI LEGATE ALLO SVILUPPO INTEGRALE DELLA PERSONA E DELLA COMUNIDAD, PERCHE’ RIFLETTONO LA IMPEGNATIVA NECESSITA’ DI CONIUGARE LA PARTECIPAZIONE COLLETTIVA AD UNA GESTIONE AUTONOMA (DI NOI STESSI) IN CUI OGNI VICINO SARA’ IL MOTORE DELLO SVILUPPO

Questa proposta ha come obiettivo di rappresentare un punto di incontro per tutti e disegnare un’alternativa di sviluppo a corto e medio termine per affrontare questa situazione di emergenza, vincolandola allo sviluppo di un processo che tracci il cammino verso un «autogoverno grupal», nella prospettiva di garantire per tutti la uguaglianza nelle possibilità di benessere, al lavoro, alla libertà e la giustizia, per creare le opportunità non lasciando in eredità ai nostri figli questa situazione infraumana».

Tali ragioni giustificano la proposta che descriviamo sinteticamente ma che può aiutarci a capire il grado e il respiro dell’intervento che coinvolge tutta la comunità in un lavoro continuo e articolato, in cui la partecipazione di gruppi e individualità anarchiche è continuo e soprattutto rispettoso dei desideri emersi dalle assemblee.

1 GESTIONE

accentuare lo stile superando le difficoltà con la pratica autogestionaria

2 SVILUPPO URBANO

3 IMPIEGO E PRODUZIONE

Organizzare microimpresa autogestionaria, finanziaria e produttiva nella comunità per sviluppare maggiore impiego

4 ALIMENTAZIONE

Disegnare una commercializzazione alternativa dei prodotti alimentari

5 SALUTE

Sviluppare un programma educativo sulla salute

6 EDUCAZIONE

Apertura scuola autogestionaria

Apertura biblioteca popolare

7 GESTIONE E BENESSERE AMBIENTALE

Rielaborare il paesaggio naturale (arborizzare, acqua, non uso contaminanti)

8 VOLONTARIATO SOCIALE E SERVIZI COMUNI

Apertura al volontariato internazionale con la creazione di un posto in cui alloggiare

9 ASSISTENZA E RICREAZIONE

Con il gruppo giovanile

10 ASSISTENZA

E ORIENTAMENTO PER LO SVILUPPO UMANO E SOCIO COMUNITARIO (metodologia e pianificazione)

Poche parole infine per comprendere lo stato in cui versano le comunità, anche quelle storiche. Parole scambiate con una guida non ufficiale che si era gentilmente ed educatamente proposta alle rovine di Seshevomynh, luogo in cui il 21 giugno si svolge la festa del sole e in cui gli Inca giocavano a un gioco molto simile al cricket. Il ruolo delle Organizzazioni Non Governative fa parte della chiacchierata e vengono subitamente equiparate al ruolo svolto dai missionari, classiche avanguardie del progresso, «equo e giusto», croce e spada in realtà. Strutture, le ONG, i cui costi inglobano voci di spesa che non sempre esprimono efficienza, anzi sono spesso, se non sempre, maggiori degli aiuti forniti.

Il nostro compito non è quello di fare i missionari ma, nel portare aiuto a chi si trova in condizione di necessità, scambiare idee ed esperienze. Approfondire questi aspetti di organizzazione sociale mi sembra un ottimo stimolo per chiunque ritenga ancora possibile emanciparsi dall’attuale stato di sottomissione che, volenti o nolenti, ci impone il sistema. E vengono alla mente i teorici nostrani dell’autogestione per i quali è difficile capire «come si lavora», quali sono gli aspetti costitutivi del vivere in forma autogestionaria. Mi sorge il dubbio che siamo molto abituati a parlarne e poco a farne, limiti del sociale post industriale.

Mettere a confronto, costruttivo e non ideologico, le diverse esperienze che il continente sudamericano in diversi paesi esprime, in termini di lotte sociali, appropriazione di gestione del pubblico, proposte di organizzazione del lavoro e della produzione, gestione della terra e degli spazi urbani. Un insieme che può aiutare a dare un senso e un indirizzo reale, nel metodo e nei contenuti, a tutte quelle lotte che sempre di più e con motivate ragioni si stanno estendendo ovunque, lotte di riscatto e di emancipazione, che prefigurano il possibile cambio, perché una piccola grande certezza è negli animi: il cambio può realizzarsi quando siamo in grado di gestirlo, grazie anche alla lunga e gloriosa tradizione autogestionaria espressa da numerose comunità e ripresa da altre forme organizzate delle classi subalterne quali le imprese recuperate in Uruguay ed Argentina, le assemblee di Buenos Aires, le società di resistenza della FORA.

Nerio Casoni

tratto dal mensile libertario: Cenerentola, novembre 2007, anno 6 -n.96

http://www.cenerentola.info/archivio/numero96/index.html

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Reseña y Análisis del Conversatorio sobre AnaRcopUnk y KonTracuLtura

El verdadero sentir de cambio fue lo que motivo a realizar este conversatorio el día Sabado 12 de diciembre en la plaza san francisco ubicada en el centro de la ciudad, y comenzó un poco tarde ya que la gente recién venía y se acercaba, hubo un compañero que no sabía mucho de esta movida que preguntaba muchas cosas acerca de la religión, política y otros temas que fueron amenizando esa tarde en la que también armamos una pequeña feria contracultural donde teníamos periódicos, fanzines, folletos, parches, discos etc, sobre todo material contestatario. El conversatorio o la actividad la podemos dividir en dos partes una en donde en la misma plaza san francisco donde se hablo sobre contracultura y anarcopunk, y la otra sobre consumismo y capitalismo que la realizamos un poco tarde y nos dirigimos hacia plazaEspaña ya que no nossentíamos incómodos porqueempezaron a celebrar unabodacercadedondeestábamos donde se ubicabauna iglesia, la bulla y fuegosartificiales molestaban elambiente.Al hablar del anarcopunk, yprincipalmenteenestaciudad, esta muy difamado yla gente ajena a esto tieneuna visión muy errada a loque es y debería ser enrealidad, sobre todo por laspersonas que abiertamenteintentaban denominarse asíya que en una época la escenaenArequipaseautodenominabasubteadonde acogían diversasideologíasytendenciasmusicales en general, desdemetaler@s hasta políticossocialistas etc; Años previos ala llegada del año dos mil seestabangestandointeresantes proyectos con la gente que vivía en épocasacaban sus bandas, habían colectivos, actividades etc, loque paso años después no tiene mención nientendimiento, todo absolutamente todo se perdió y pasoa ser una etapa negra y obscura de estancamiento quequebró un proceso contracultural en donde el anarquismoy el punk no pudieron soportar esto ya que colapsaron yfueron sometidos al olvido y traición del tiempoperdiéndose una linda esperanza para organizarse y asíintentar acabar con el sistema capitalista explotador y espues una de las luchas que el anarcopunk asumeabiertamente y que no sólo es música o posturasindividuales ya sean estéticas o de otra índole.En la charla se expuso que el anarcopunk si bien es ciertoera un movimiento en donde la misma denominaciónpareciera que encerrara la anarquía con el punk, pero no era tan determinante esto para asumir una posición real dentro de

situacionista y dadaísta que enfrento valientemente eleste movimiento, es pues así que un compañero pregunto si para ser anarcopunk habría que no comercarne, no tomar alcohol o simplemente vestirse comopunk (se refirió a un folleto llamado anarkopunkfletario dela ciudad de lima en donde se exponían esos principioscomo necesarios), de todas maneras no podemos negarque algun@s compañer@s tienen esa certeza y para ell@ses su forma de vida adoptar esa posición, pero para elanarcopunk “la verdad siempre esta muerta” esto seinterpretaría de la siguiente forma: en una sociedad libreuno puede organizarse como quisiere pues era su voluntady habría que respetar eso, pero en esta sociedad capitalistaque vivimos y que esta enajenada por el consumismo, nopodía reformarse ciertascosas nada más, ya que loque para algunos asumencomo una idea certera enla lucha ser vegano o dejarde tomar alcohol elsistema no tendría elmenor reparo de absorberesto con el fin demantenerse y perpetuarsesimplemente cambiandode forma o mutándosecuandoloveaconveniente engañandoasí al joven proletario, esasí que habría queproponerunaluchafrontal a todo el sistemacapitalista y derrocarlopara que así puedanidentificar cuales son lasestructuras contaminadasque privan la libertad yase una persona o de unanimal.Se hizo mención de laimportancia de conocer elactivismo de algunosgrupos que marcaron elinicio de una etapa que luego asumiría el nombre deanarcopunk. Entre ellos se recalco la labor del grupo inglésCRASS ya que su accionar dejo marcado el camino a seguirde las próximas acciones que habrían que tomar tanto lasbandas, organizaciones y colectivos, para ser unaverdadera amenaza al sistema y poner fin de una vez portodas a la miseria que vive nuestra gente en su mayoríapobre tanto de dinero como de espíritu. Hay varioscaminos por optar no es tanto la etiqueta lo que ha hechode este movimiento anarcopunk el mas honesto de lahistoria tanto en la coherencia entre lo que uno piensa y loque actúa, es así entonces que como el sistema vio queesto crecía mucho lo intento desaparecer promocionandoal punk haciéndolo ver como solo música, destrucción eindividualismo, manejado por grandes promotores que enuna época pertenecieron a la llamada corriente arte y que genero una visión bastante contracultural y alternativa, y que algunos personas lostraicionaron y le dieron otro sentido desfigurándolo. Porahí también decir que el proceso contracultural teníaalgunas raíces de movimientos radicales hipys, que en unaépoca fueron una también una amenaza hacia el orden,bastaría poner el ejemplo de que el baterista de CRASSPenny Rimbaud habría recogido ciertas influencias y quelas adaptó buscando siempre el hazlo tu mismo que se vioreflejado en tantos proyectos, y que fue una influenciatotal hacia un mundo que sangraba afirmado por elcapitalismo. También se hizo mención de organizacionescomo la Internacional Anarcopunk, o compañeros deCajamarca, de Lima y otras zonas a nivel mundial quecomparten similares proyectos pero que debido a lasfronteras y a los medios de comunicación era imposiblesaber de las actividades que realizan y que debíamos deautorganizarnos buscando métodos por los cuales elaccionar anarcopunk se mantenga vivo porque no somosuna moda mas pasajera.

En la discusión con otr@s compañer@s hubo una crítica sobre todo a la cuestión del nombre, decía que ya afirmando ser un punk se podía hacer muchas cosas, hablaba de un cambio personal desde el individuo hacia la sociedad planteaba que mas allá de encerrar el punk con términos o etiquetas debemos ser punks solamente y que
era ya un gran paso hacia cosas mas grandes, tal vez reflexionando lo que decía podemos decir que en los colectivos que habían antes por aquí algun@s se hacían los mas radicales diciéndose anarkopunks proponían grandes cosas y proyectos pero debido a que el discurso supero sus límites personales se decepcionaron a si mismos y lo dejaron, lo importante es saber que por aquí somos aun pocos los que luchamos y propagamos estos ideales y que asumir una lucha muy grande ya sea por la revolución personal o social, debemos de ser

personal o social, debemos de ser cautos y no seguir cometiendo los mismos errores porque la historia esta para que aprendamos y para no repetirla, cada lugar tiene sus propias peculiaridades y la afinidad en la lucha se esta construyendo pero no debemos de perder el rumbo por mas avances o retrocesos que existan. Aunque falto profundizar más sobre la condición consumista de este sistema pero se promete realizar actividades similares a futuro.

Luchar por el AnaRcopUnk es construir un camino en donde podamos existir resistiendo y actuando siempre.

Tomado de: Vida – publicacion libertaria. N° 0, pag, 5,6,7. Arequipa-Peru, Junio 2010

contacto: org_amoryodio@hotmail.com

web: org-amoryodio@blogspot.com

Arequipa – Peru

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